Lupin, la serie francese targata Netflix e interpretata dalla star internazionale Omar Sy, è diventata il titolo più visto sulla piattaforma, raccogliendo il favore del pubblico. Invece la critica critica: e noi critichiamo la critica.

Voto: 7

Lupin mantiene la promessa di una storia avvincente, divertente e straricca di colpi di scena.

La trama è un ingranaggio perfettamente congegnato, dove ogni singola mossa è improbabile ma alla fine torna a chiudere un cerchio ideale, proprio come se fosse uno dei famosi piani criminali di Arsene Lupin, la grande assenza presente che ispira le gesta del protagonista Assane Diop e che percorre l’intera storia, letteralmente dall’inizio all’ultima scena (tra l’altro portentoso cliffhanger per una stagione 2).
Avvincente, dicevamo: si è subito coinvolti dalle vicende della simpatica canaglia del protagonista, non solo perché intriga l’articolato piano per rubare l’inestimabile Collier della Regina nientemeno che dal Museo del Louvre, ma perché ben presto è evidente che è un semplice furto. Si tratta di una vendetta, anzi, dell’aspirazione a ripristinare la giustizia, dato che l’abile truffatore Assane scopre di essere stato lui stesso vittima della peggiore delle truffe quando qualcuno lo ha privato dell’amata figura paterna a soli 14 anni. Il rocambolesco, pardon, lupenesco, schema per rubare il gioiello è l’inizio di una serie di piani a incastro gli uni negli altri, una matrioska di geniali inganni che dovranno portare allo smascheramento del vero cattivo, il villain che ha ‘rubato’ l’infanzia del protagonista.

Assane dunque è un ladro ma è ben lontano dall’essere il cattivo della storia. Vediamo attraverso una serie di flashback come anni prima suo padre sia stato accusato di aver rubato proprio il Collier della Regina da una collezione privata, e si sia poi suicidato in prigione come gesto dimostrativo della sua innocenza: il vero malvagio è chi ha incastrato senza scrupoli Diop padre, e Assane/Arsene deve smascherarlo e mettere pace dentro la sua coscienza. Difficile e anche senza senso spiegare qui i numerosi passaggi che trasformano la famosa collana da oggetto del desiderio a semplice motore di una storia più ampia: basti dire che nella storia davvero nessuno è mai quello che sembra, e che si finirà a parlare di traffico d’armi, politica internazionale e colpi di stato.

Al pubblico è piaciuto: è piaciuta la storia con le sue giravolte. E’ piaciuto l’interprete scanzonato, allegro, seducente e strafottente. E’ piaciuto come ogni passaggio del grande piano di vendetta di Assane Diop contenga in sé uno sberleffo, una pernacchia al sistema e al potere costituito, alla stilosa ‘casta altoborghese’ che in Francia è così ben rappresentata, che fuori da quel paese piace ma dà allo stesso tempo un invidioso fastidio. E’ piaciuta la risata che nasce irrefrenabile sulle labbra del ladro gentiluomo, e che risulta definitivamente contagiosa, per lo spettatore oltre che per tutti quelli che lo circondano nella storia: se un personaggio è in grado di far sorridere anche una prevedibilmente livorosa ex-moglie (l’altra star internazionale Ludivine Seigner), vuol dire che l’allegria è il suo superpotere.

Ma allora cosa ha da criticare la critica televisiva?

Dicono che il personaggio non somiglia a Lupin. Rispondiamo che il personaggio NON E’ Lupin: è un uomo con dei talenti, una storia alle spalle, e che una combinazione di eventi ha avvicinato a un classico della narrativa del suo paese, Arsene Lupin: il ladro gentiluomo, che a sua volta ha ispirato la sua vita, la sua carriera e il suo stile criminale. Quello che veramente si rimprovera a questo Lupin/nonLupin è non somigliare a Lupin III, l’allampanato personaggio dei fumetti degli anni 70 inventato dal geniale Monkey Punch. Ok. Questo possiamo concederlo: Assane Diop non somiglia al personaggio di carta, inventato da un giapponese, che gira il mondo con una banda formata da tre giapponesi di cui un samurai. Questo Lupin non somiglia nemmeno al raffinato ladro gentiluomo cui si ispirano le sue gesta: Assane è un tipo scaltro che ha incamerato tutti i trucchi raccontati in un magnifico libro francese che parla di trucchi, di piani geniali e di sopraffino trasformismo. E noi ve lo avevamo detto, che chi volesse vedere il Lupin in giacca, cravatta e Fiat 500, lo troverebbe sullo streaming di Sky con tutti i suoi film.

Qui siamo in un altro panorama. Siamo decisamente più dalle parti della tradizione del caper movie, o heist movie: una storia in immagini che mostra la messa in atto di un articolato piano criminale.
Il gusto di seguire in tv (o al cinema) truffe ben congegnate da personaggi irresistibili, affascinanti e generalmente vestiti con ottimo gusto parte dalla Stangata (Robert Redford e Paul Newman nel 1973), passa attraverso la trilogia di Ocean’s (diretta da Steven Soderbergh tra il 2001 e il 2007 con Brad Pitt, George Clooney e Matt Damon), e arriva in tv a White Collar (sei stagioni dal 2009 al 2015, il truffatore esperto d’arte con un passato oscuro è l’apollineo Matt Bomer). In realtà una specie di patinato sottogenere del genere caper movie in cui i protagonisti, diversamente dai quattro cialtroni per esempio dei Soliti Ignoti, sono appunto eccezionalmente dotati sotto ogni profilo.
I protagonisti infatti sono accomunati dall’abilità, dall’intelligenza di concepire dei piani straordinari e dalle capacità intellettive, manuali, organizzative e spesso sportive di realizzarli. E’ l’eterno Yin dello Yang dell’eroe buono, del commissario che ripristina la giustizia e dello sceriffo che punisce i cattivi. Qui c’è un personaggio che agisce fuori dalla legge e contro di essa, ma spesso dentro le regole di una legge superiore e non scritta, quella del dovere di ricondursi a un ordine ‘morale’ superiore, come vuole la legge della vendetta di un onore tradito e vilipeso. Non importa se l’eroe sia buono o cattivo rispetto alle leggi: è un eroe. E soprattutto non è il fine, che affascina e interessa, è il mezzo: e quel mezzo è la genialità di risolvere le situazioni a proprio vantaggio con ogni strumento possibile. Inganno, soprattutto, mascheramento, combattimento, forza di convinzione, conoscenze ed eloquio, travestimento, algoritmi e tecnologia. Tutto perfetto al millimetro, e alla fine non si può non tifare per il successo di chi ha creato il piano, sceriffo o fuorilegge che sia.
Questo Lupin non è Lupin III e non è nemmeno Arsene Lupin, urge ripeterlo. La sua storia non parte dal nulla per finire nel labirinto criminale per caso: la vicenda affonda le radici nel passato e sporge i rami verso il futuro, come è testimoniato dal tema della paternità. In questo soprattutto il Lupin di taglia extra large di Omar Sy si distingue dai suoi predecessori: Assane è guidato dalla determinazione di rendere giustizia al proprio padre, ed è lui stesso padre di un adolescente che lo adora. Inedito, questo tratto umano del personaggio, e caratterizzante: Assane regala il libro di Lupin a suo figlio come suo padre fece con lui a suo tempo. E il libro è simbolo del vincolo che lega le tre generazioni, non importa che sia il vademecum di geniali piani criminali: rappresenta la fedeltà a sé stessi e a un proprio codice etico, che travalica quello ‘comune’  ma che ne recupera i valori più profondi. Come il predecessore di tutti i ladri gentiluomini, Assane finisce per rubare per senso di giustizia, e nello scorrere delle azioni sono diverse le situazioni sbagliate e ingiuste che sistemerà, lasciando preziosissimi diamanti sul suo sentiero come i sassi che riportano a casa Pollicino.

In ultimo facciamo riferimento all’altra accusa che viene fatta a questo prodotto Netflix: l’aver scelto un protagonista di colore per necessità di compiacere il politicamente corretto.

Questa accusa si smonta facilmente con la stessa argomentazione di prima: questo personaggio non è un Lupin di colore perché NON E’ LUPIN!
Se si vuole disquisire sulla necessità o sulla legittimità di introdurre personaggi rappresentanti delle minoranze etniche in una serie tv in contesti in cui tradizionalmente non entrerebbero, si può fare, ma dobbiamo farlo parlando di Bridgerton, in sono stati posizionati forzosamente personaggi di origine africana nella corte inglese del 1800, dando luogo a un falso storico.
Qui invece il regista francese della serie (Louis Terrier, il creatore è l’inglese George Kay) ha preso un attore francese, amatissimo in patria, conosciuto all’estero, per rappresentare un personaggio francese che si ispira a una figura molto nota della letteratura in lingua francese, un personaggio inventato da un francese nel 1800 e reinterpretato da un nipponico nel 1970.
Cosa c’è di forzato in questo? Omar Sy è un francese di origine senegalese come ce ne sono tanti n Francia, e anche la polemica che sia difficile credere a un gigante di colore che si confonde tra la folla è poco centrata: i cittadini francesi di origine senegalese o nigeriana che circolano a Parigi sono tutti giganti di colore, nessuno si stupisce.
Disponibili al dibattito e genericamente orientati a difendere alcune distorsioni necessarie nell’ottica del politicamente corretto, non vediamo in questo Lupin di Omar Sy un argomento di tale dibattito.

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A chi apprezza i piani ben organizzati e i protagonisti intelligenti, eleganti e belli, l’Algoritmo umano consiglia

 

Ocean’s Eleven, Infinity TV

Liberamente ispirato al classico Colpo Grosso interpretato dal rat-pack (Frank Sinatra, Dean Martin e compagnia davvero bella), Ocean’s Eleven è stato un successo strepitoso che ha guadagnato 450 milioni di dollari. Il film. Il colpo organizzato da Danny Ocean con 10 complici dalle varie ed eccezionali competenze era per 163 milioni di dollari, quindi si potrebbe dire che gli Undici di Ocean hanno fatturato 287 milioni…
La storia è quella di un truffatore appena uscito di prigione che decide di fare un colpo ‘pazzesco’ a ben tre casinò di Las Vegas, coinvolgendo appunto 10 criminali della città, ognuno considerato il migliore nel suo campo: esplosivi, tecnologia, combattimento, falsificazione… La trama è debitamente complicatissima, con delle svolte e giravolte che mantengono la tensione e i colpi di scena fino all’ultima, di scena. Ma è altamente probabile che siano i nomi degli interpreti a fare il successo di quella che poi è diventata una trilogia: George Clooney, Brad Pitt, Andy Garcia, Matt Damon, Julia Roberts. L’aggiudicarsi questo cast è stato il vero colpaccio milionario. Da non perdere comunque se si apprezzano le trame quasi inestricabili e i ladri dal multiforme fascino.

 

Un commento

  • Andrea Rocco ha detto:

    Splendida la serie …. almeno quanto la recensione di Monica Lazzarini, che ha sintetizzato alla perfezione i punti di forza di questa imperdibile, deliziosa produzione.
    Deliziosa perché alla base di tutto pone l’amore assoluto e incondizionato per i libri, per un libro, per un autore. Un amore che viaggia lungo tutta la storia, secondo almeno tre direttrici: verticalmente, di padre in figlio, attraverso il fil rouge che lega le tre generazioni Diop protagoniste della vicenda; orizzontalmente, da Assane alla ex-moglie Claire, sin dai primi incontri dell’adolescenza, in maniera così radicata da costituire uno dei residui legami per una coppia altrimenti divisa da una diversa concezione dell’idea stessa di famiglia; trasversalmente, grazie alla passione letteraria del poliziotto Youssef che consente a lui e solo a lui – con gran dispetto degli altri colleghi impegnati nella ricerca del ladro del Louvre – di leggere compiutamente e anticipare le astute mosse di Assane.
    Questa accattivante, brillante e colta bibliofilia permea ogni singolo fotogramma della serie e ispira nello spettatore una voglia irrefrenabile di rimettere le mani negli scaffali delle letture dell’adolescenza, quando interi pomeriggi erano dedicati alla lettura di Leblanc (o di Conan-Doyle, o di Agatha Christie), alla scoperta delle geniali trovate dei protagonisti di quelle pagine. Confesso, l’ho fatto anch’io, e l’effetto di rileggere d’un fiato quelle pagine, a distanza di qualche lustro, non lascia indifferenti.
    Così come viene voglia di andare a rivedere le puntate della prima serie di avventure televisive del ”ladro gentiluomo”, in onda all’inizio degli anni Settanta, con l’indimenticato Georges Descrières, unico, iconico volto di Arsene Lupin per chiunque abbia superato i cinquant’anni, il cui irriverente sorriso, sotto gli irrinunciabili cilindro e monocolo, è ancora reperibile – per fortuna – sulla rete.
    La piacevolezza della citazione letteraria è amplificata dall’inconfondibile linguaggio cinematografico francese, così naïf e low-profile nella fotografia, nella sceneggiatura e nella caratterizzazione stessa dei personaggi complementari: questi ultimi sembrano tutti presi dalla strada, per la spontaneità ed il realismo del proprio approccio recitativo, e invece provengono tutti da gloriosi trascorsi teatrali.
    E’ il marchio di fabbrica inconfondibile delle più riuscite produzioni d’oltralpe, dai tempi di Truffaut e Jean Gabin / Maigret, fino alla più recente “Le Bureau”, accattivante ed ineccepibile descrizione delle dinamiche interne alle Agenzie di intelligence dell’Europa occidentale.
    Su Omar Sy c’è poco da aggiungere a quanto già ottimamente sintetizzato nella recensione. Il mix di aspetti drammatici e di trovate brillanti, al limite del comico, è la cifra stilistica che l’attore parigino ha offerto in molte delle sue performance cinematografiche, ma è anche il motivo conduttore dell’intera produzione letteraria di Leblanc; mai quindi connubio cinematografico-letterario trovò una sintesi più azzeccata.
    Lo sto leggendo proprio ora, alla fine de “L’arresto d’Arsène Lupin”, quando il personaggio narratore, Bernard d’Andrésy, dice: “Sì, oso credere che Arsène Lupin mi onori di qualche amicizia, ed è per amicizia che giunge a volte a casa mia all’improvviso, portando nel silenzio del mio studio la sua gaiezza giovanile, l’influenza della sua vita ardente, il suo bell’umore di uomo per il quale il destino non ha che favori e sorrisi”.

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