SU SKY ARTE DUE SERIE DI DOCUMENTARI BIOGRAFICI, “IL MIO NOME E’ LEGGENDA” E “GHOST HOTEL”, CHE SFRUTTANO IL CARISMA DI DUE PERSONAGGI NOTI E NOTEVOLI, MATILDA DE ANGELIS E MICHELA MURGIA

Lo sapevate voi che il personaggio di Indiana Jones è ispirato alla figura vera dell’avventuriero Giovanni Battista Belzoni? E che anche dietro Zorro, o Betty Boop, Frankenstein, Dracula ci sono uomini e donne veri a cui risalire, una sorta di radice concreta su cui si è innestata la leggenda che ancora vive nell’immaginario collettivo? In sei episodi, su Sky Arte e in streaming, lo racconta Il mio nome è leggenda, una serie firmata dal meritevole collettivo Bottega Finzioni, e condotta dall’attrice rivelazione del 2020/21, Matilda De Angelis (ne parliamo qui).

E lo sapevate invece come e dove si sono creati i lati oscuri di alcuni personaggi noti, la cui fama appunto è ombreggiata da sfumature dark? Come Truman Capote, Mata Hari, Nikola Tesla, Anais Nin, Kiki de Montparnasse, tutti vissuti al limite, finiti non bene, ricordati per quello che hanno fatto ma anche per la piega contorta che le loro vite hanno preso a un certo punto. Questo lato oscuro lo illumina, aprendo le porte cigolanti di un immaginario hotel popolato da fantasmi, Michela Murgia, negli episodi di Ghost Hotel in onda su Sky Arte e in streaming. La scrittrice e intellettuale sarda, anche autrice del format, è la narratrice delle storie, che porge allo spettatore tra il divertito e il sulfureo, mettendo in gioco sé stessa in una sorta di teatro a tinte horror.

Entrambi i programmi si basano sul tentativo, riuscito, di cucire insieme storie che niente hanno in comune tra loro, facendo leva sulla fascinazione che hanno le vite in qualche modo straordinarie sull’immaginario collettivo, e usando come strumento il gusto stesso del racconto per immagini.
Il piacere antico e quasi infantile di ascoltare una storia ben raccontata. Il tono, in entrambi i casi, è un incrocio tra il teatrale e il consolatorio, con una voce femminile e un volto rassicurante a guidare chi ascolta in un percorso accidentato di fatti e coincidenze che rassicurante non è per niente.

LO STORYTELLING
Sky Arte
dunque prende una strada diversa da quella del ‘cugino’ più giovane Sky Documentaries, in cui la messe di titoli si basa sull’interesse della storia messa in scena (ne parliamo qui), e decide di dare più importanza al COME la storia è raccontata, alla confezione, al racconto stesso. Privilegiando lo storytelling, parola e concetto un tantino abusati, che noi intendiamo nella sintetica meravigliosa definizione di Alessandro Baricco: sfila via i fatti dalla realtà: quel che resta è storytelling.

In queste due serie perfettamente confezionate quello che conta è in effetti il gusto del racconto, o almeno l’algoritmo le consiglia per come narrano, più che per quello che narrano.
L’atmosfera curata, in entrambi i casi, il discorso ‘ornato’ e fiabesco, la voce sicura e apparentemente consapevole: questa la cornice che ci ha fatto venir voglia di seguire, prima che il contenuto degli episodi, come per esempio nel caso della storia della ‘vera’ Pippi Calzelunghe, che sulla carta in pochi adulti disincantati sceglierebbero di guardare, ma che invece guidati dalla voce leggermente roca e ammaliatrice di Matilda De Angelis si finisce per seguire fino alla fine.

LE STORYTELLER

Dunque importanza della narrazione, da cui, come dicono nei teoremi, importanza del narratore. Colui, o colei come in questo caso, che rende la fabula affabulante, che con la sua maestria nel raccontare rende interessante anche l’aneddoto meno eclatante, o la barzelletta magari mediocre.

Michela Murgia è una scrittrice sarda piuttosto nota ai lettori italiani, che come personaggio ultimamente si è molto esposta in veste di attivista sul tema della parità di genere soprattutto nella comunicazione del nostro Paese. Seguitissima, anche criticatissima, sui social, Michela Murgia è anche autrice di una serie di podcast intitolata Morgana, che racconta le tante storie di donne notevoli poco ricordate dalla storia. Come narratrice, dunque, è già esperta e chi ha ascoltato i suoi racconti sa che ha grandissimo talento affabulatorio, con il suo lessico ricco ed evocativo da scrittrice e l’accento sardo che dà colore e personalità a una voce pacata e sempre sottilmente ironica.
In Ghost Hotel Michela si mette in gioco davanti alla telecamera ‘travestendosi’ da concierge (lavoro che ha davvero fatto prima di diventare una scrittrice) e da una sorta di maga incantatrice. Facendo però forse un passo più lungo della gamba: non essendo un’attrice, è palpabile il suo leggero disagio nel sistemarsi di fonte alla telecamera leggendo un testo che non è solo suo. La disinvoltura che ha come polemista nei programmi in cui è ospite si dilegua, e sul set perfettamente allestito il suo sguardo intelligente risulta timido, come quello di un dilettante allo sbaraglio.
Paradossalmente quindi, la Matilda De Angelis di Il mio nome è leggenda, pur non essendo in alcun modo autrice dei testi che recita, risulta più credibile, convinta, a suo agio. Matilda è un’attrice, e brava, quindi il suo interpretare una persona che racconta una storia risulta assolutamente verosimile. Tanto che si viene catturati dalle sue parole più che dalle immagini che via via descrivono la storia, come se la didascalia fosse più affascinante della foto che dovrebbe spiegare. Guardando in camera e ammiccando sobriamente allo spettatore, la giovane raccontatrice riesce a evocare mondi esotici, incatenando chi guarda in una sorta di incantamento da mille e una notte.

Insomma: l’algoritmo suggerisce questi due titoli a chi conservi in sé ancora un po’ di nostalgia per i tempi in cui c’era qualcuno che ti prendeva per mano e si assumeva la responsabilità di scegliere per te una bella storia per accompagnarti nel mondo dei sogni.

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