Breve recensione del secondo episodio della serie ispirata al celebre film di Ingmar Bergman, aggiornato all’altro capo del mondo e al nuovo secolo e millennio. Contiene necessari spoiler

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UN VIAGGIO TRA ANSIA E PREVEDIBILITA’

Col secondo episodio generalmente, nella fiction, si entra nel vivo dell’azione. Ecco, proprio di azione non si può parlare per questo lentissimo, quasi ipnotico srotolarsi di ‘fatti’ della seconda puntata di Scene da un matrimonio. Durante l’intero l’episodio vediamo solo Mira e Jonathan, Jonathan e Mira, nessun altro personaggio, solo brevemente la loro figlioletta Ava, ma in modo del tutto coreografico. A casa loro una sera, Mira e Jonathan parlano, e parlano, e si bevono un bicchiere di vino da una bottiglia aperta, e si preparano per la notte (di nuovo, topos superclassico a simboleggiare la rassicurante/mesta quotidianità della vita a due) e poi litigano e poi piangono e poi si incazzano. Già. Perché è vero che non succede niente in questo tempo scenico, ma qualcosa di grosso è successo, e anche di più grosso sta per succedere al di là della rappresentazione. Mira confessa al suo garbato, pacato, amabile consorte i veri perché di certe sue insofferenze e lontananze. “Mi sono innamorata di un altro”, rivela nella penombra della cucina, rammaricandosi prima di tutto di quanto suoni ridicola quell’affermazione. E certo, sarà quello il problema, pensi, e vorresti un po’ prenderla a schiaffi. Ma invece niente. Jonathan non è certo tipo da fare scenate, e l’assenza di passione, come già evidente, è uno dei problemi tra i due.

 

L’attonito marito cerca dunque di capire, di farsi spiegare, di minimizzare, ma lei, la fedifraga, pur sentendosi ridicola, ha ben deciso che fare: partire col suo bello. Pian piano si scopre quando, e per quanto tempo, e da quanto tempo sia maturata questa decisione. Il dolore di Jonathan cresce piano piano, con la consapevolezza. E nonostante sia Mira che parla e parla, lo spettatore assume il punto di vista di Jonathan: noi non sappiamo cosa è successo e perché, non abbiamo visto o capito niente, e la nostra voglia di sapere è soddisfatta grazie al racconto che proprio Jonathan, con apparente ma inevitabile masochismo, va sollecitando.
Un crescendo lentissimo, un’azione così controllata che sembra una lezione di thai-chi, ma che è talmente ben costruita che ottiene un risultato assurdamente ansiogeno, come tanti urli e piatti rotti e scene madri alla Muccino non avrebbero potuto avere.
Ognuno dei due coniugi ha le sue ragioni, e chiunque stia guardando e abbia conosciuto una relazione stabile e le sue instabili certezze diventa nervoso, perché non sa da che parte stare, potendo virtualmente essere sia una moglie traditrice perché diventata claustrofobica che un marito tradito senza nessuna colpa oltre quella di essere noiosamente affidabile.
Di nuovo, 10 e lode alla capacità di avvinghiare l’attenzione senza strepiti, scene hot o carambole recitative: quando si dice less is more…

 

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