Run – Fuga d’amore                                                                 voto 7-

(Sky/Now)

LA SERIE HBO IDEATA DA VICKY JONES E PRODOTTA DA PHOEBE WALLER-BRIDGE SEGUE L’AVVENTURA DI DUE EX AMANTI, A BORDO DELL’ULTIMO TRENO DELLA LORO VITA, CON UNA COPPIA DI FUGGITIVI FORMATA DA MERRIT WEVER E DOMHNALL GLEESON. UN ROAD MOVIE CHE FUGGE DA UN GENERE ALL’ALTRO PER RINCORRERE IL FASCINO E L’ADRENALINA DELL’IGNOTO.

Prendi la libertà e scappa!

Quando erano una coppia al college, Ruby e Bill sancirono un patto: se nel corso della vita uno dei due avesse scritto all’altro la parola RUN e l’altro avesse risposto con un messaggio identico, sarebbero scappati insieme, mollando tutto ciò che stavano facendo in quel momento, ovunque essi fossero. L’appuntamento sarebbe stato alla Grand Central Station di New York per attraversare l’America in treno. E vedere poi il da farsi con quella cosa chiamata futuro.

Nel corso dei 17 anni intercorsi dall’accordo, Ruby è diventata una moglie annoiata con marito e due figli in groppa; Billy invece ha fatto successo come Life Coach, uno di quei guru che forniscono slogan motivazionali. Se trovi gli allocchi che ci cascano, fai un sacco di soldi.

Comincia così, con lo scambio reciproco del messaggio cruciale, il rocambolesco viaggio in 7 puntate di Ruby (Merrit Wever ) e Billy (Domhnall Gleeson): dalla Grande Mela a Los Angeles passando per un hotel a Chicago e una cittadina sperduta tra i boschi all’inseguimento del debito da saldare con le versioni più giovani e spensierate di se stessi, che con saggia incoscienza avevano progettato un piano B, consapevoli che in qualche punto lungo il tragitto della loro esistenza si sarebbero sentiti infelici.

Nonostante il sottotitolo italiano, diciamo subito che sarebbe semplicistico definire romantica la serie ideata da Vicky Jones e prodotta da Phoebe Waller-Bridge, al rilancio della loro collaborazione dopo i grandi riconoscimenti ottenuti per “Killing Eve”.

“Run – Fuga d’amore” è un oggetto filmico non ben identificato che si compiace, forse eccessivamente, proprio della sua continua volontà di diserzione dagli schemi e del desiderio di destrutturare tutto ciò che sia destrutturabile, prendendosi il rischio dell’inceppamento narrativo, ma che tiene il timone a dritta verso il suo senso principale e definitivo.

Vediamo il come e il perché (>>>ATTENZIONE SPOILER<<<)

Un road movie che scarta a priori le macchine e gli aerei, scegliendo di svolgersi prevalentemente sul treno, è già una dichiarazione di intenti ed è coerente con il piano B di cui sopra, partorito all’epoca da due studenti alle prese con una vaga visualizzazione adulta di se stessi. Due studenti che ora hanno un corpo segnato dal tempo e ormai anche un pregresso da persone mature organizzano in modo frettoloso e approssimativo la fuga che dovrebbe riaccendere le loro esistenze spente.

Ruby e Billy si giocano quindi l’ultima carta, quella che ognuno di noi pensa di potersi giocare una volta o l’altra nel corso della vita qualora si accorgesse di aver tradito le proprie ambizioni esistenziali finendo in un vicolo cieco.

Ma qui la questione è ben più seria, perché c’è una promessa che lega due persone. Non è un solitario sogno ad occhi aperti.

Si tratta di un patto con la P maiuscola, tanto semplice quanto solenne, che non può ammettere tradimenti di sorta.

Così si spiega quello sguardo carico di rancore che Ruby rivolge a Billy al termine della storia, quando lei scopre il vero motivo per cui l’uomo ha inizialmente scelto di contattarla. Poco importa se i sentimenti di Billy sono cambiati in corso d’opera. Billy ha tradito il patto, tanto da costringere Ruby a tornare nelle retrovie del sacro e noioso vincolo del matrimonio.

È il ritorno tra le mura domestiche di una vita coniugale mai pienamente accettata, flashback docet, che finisce quindi per essere il vero piano B, decretando la sconfitta di un’idea, la cancellazione della seconda chance.

Ruby avrà anche tradito la sua famiglia per alcuni giorni, sarà stata torturata dai dubbi, dalle bugie e dalla presenza intrusiva del cellulare, ma nel centro del suo mirino c’era costantemente quell’accordo stipulato in gioventù. Billy invece ha messo sul piatto l’ipocrisia, una borsa piena di soldi e una morte misteriosa. Tre cose troppo ‘adulte’ per una coppia di amanti in cerca di una scappatoia.

È evidente come sia lo sguardo femminile a prevalere nel contesto di “Run”. Anche le altre due donne – la vice-sceriffo capo e Laurel, l’impagliatrice di animali – sono personaggi positivi. E la stessa Fiona/Alice, seppur spietata e attaccata ai soldi, ha una personalità intraprendente e assertiva.

Al contrario, a tutti i maschi che appaiono ‘en passant’ nella linea del racconto è riservata la figura peggiore. Billy a parte, di cui emerge la debolezza e la vanità, c’è il belloccio sul treno che gioca a fare il macho ma si accontenta del sexy talking; il padrone della fattoria fugge davanti al presunto omicidio e scappa dalla polizia pur non avendo commesso nulla di sbagliato. È uno scarto non necessario alla storia che possiede solamente un nome e un comportamento strano. Persino l’altro agente di polizia si rende responsabile di un futile gesto infantile e meschino rivelando per dispetto alla sua collega il verdetto di un reality show. Il marito di Ruby, infine, è l’incarnazione del soporifero e protettivo uomo borghese da cui una donna vorrebbe fuggire.

La demascolinizzazione si accentua quando alla poliziotta e all’imbalsamatrice viene riservata la sequenza più riuscita dell’intera serie, in un dialogo tra indagatore e testimone che si trasforma in un’incantevole gioco di seduzione incastrato nella punteggiatura e negli sguardi. Un pezzo di sceneggiatura da collezione in cui si sprigiona tutta l’abilità della coppia Vicky Jones- Phoebe Waller-Bridge, che concedono tempo e messa a fuoco a due personaggi secondari, delegando sullo sfondo i protagonisti.

“Run” procede per vie traverse, non lineari e si affretta a deviare da ogni traiettoria intrapresa per non concedere allo spettatore la possibilità di definirne il genere. Costruisce il drama romantico e poi lo spezzetta a colpi di comedy dalle fluttuazioni dark e surreali, comincia ad impastare la suspense da thriller scaturita dalla morte di Fiona, ma la accantona per poi rimetterci le mani nel sottofinale, senza mai veramente svelare se si sia trattato di un incidente o di un omicidio.

La showrunner Vicky Jones non ritaglia nessun colpo di scena davvero convenzionale, e i dialoghi tra i due amanti in fuga sono sovente disinnescati dalle interruzioni. Non tutti i gesti, inoltre, vengono compiuti, né si accordano alle aspettative del genere: ad esempio i messaggi su whatsapp vengono scritti ma sono cancellati prima di essere inviati; la detective apre un taccuino ancora intonso ed è visibilmente goffa e inesperta nella conduzione dell’indagine, accendendo e disattivando la seriosità del meccanismo Crime così come lo conosciamo. Billy e Ruby non consumano da subito la loro passione nella cuccetta del treno, come magari avevano avventurosamente vagheggiato da ragazzi, ma nell’ambiente più asettico di una camera d’albergo.

Su tutto impera il privilegio dello spettatore, che viene a conoscenza dei segreti e dei tormenti prima dei protagonisti, in un balletto che fa finta di potenziare il ruolo dello stesso spettatore, ma invece finisce per depotenziarlo, negandogli quasi tutti i cliché a cui è abituato perché si ritrova deragliato sopra e sotto la riga-binario della narrazione.

Un intento lodevole e parecchio rischioso per la riuscita del prodotto che infatti, qua e là, è ridondante e mostra il fianco.

L’insistita destrutturazione è tuttavia organica alla storia raccontata e ai personaggi sistemati a bordo dell’ultimo treno, letteralmente e metaforicamente.

Ruby stessa ammette di aver raggiunto un’età in cui il senso dell’umorismo le permette al massimo di “fare battute confuse”; Billy dissacra tutta l’importanza del viaggio che stanno intraprendendo affermando “Che cosa non si farebbe per una scopata eh?”.

Sono due adulti dall’animo impiastricciato che hanno rimandato per anni la loro definitiva perdita dell’innocenza, intendendo con questa – almeno per Ruby che rientra nei confini coniugali – la constatazione che forse è necessario accontentarsi di un appagamento insoddisfacente ma solido.

A Billy, colpevole diretto o indiretto di ben due persone morte, spetta un futuro non certo migliore. Forse la prigione vera, non quella simbolicamente rappresentata dalle sbarre della vita matrimoniale. A lui che si è arricchito spacciando parole vuote (che solamente la sua collaboratrice, Fiona, riusciva a trasformare in oro), non viene concesso il beneficio di un cenno d’intesa o di un approvazione da parte della sua compagna di avventura. Proprio nel momento in cui Billy ha fatto prevalere l’onestà e il sentimento denso e genuino nei confronti di Ruby. Forse.

Per lui si tratta del più doloroso degli addii. Perché a chi tradisce un patto basato sulla parola, sancito quando si era davvero incoscienti e liberi, non può che essere riservato un silenzio dantescamente punitivo.

 

 

 

 

 

 

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