LE PAROLE CHE (NON) TI HO DETTO

Scene da un matrimonio                                                                            SKY

FINISCE L’ATTESA E STA PER APRIRSI IL DIBATTITO SU “SCENE DA UN MATRIMONIO”: CHIAMATELO RIVISITAZIONE, REMAKE O REBOOT DELLA SOSTANZIOSA E TORRENZIALE OPERA CHE INGMAR BERGMAN SFORNÒ NEGLI ANNI 70, PRIMA COME SCENEGGIATO TELEVISIVO (CI ALLINEIAMO AL LINGUAGGIO DELL’EPOCA) DI 294 MINUTI, SUCCESSIVAMENTE RIMONTATO E SFORBICIATO DALLO STESSO BERGMAN IN UNA VERSIONE CINEMATOGRAFICA DA 155 MINUTI. IL FILM LO POTETE VEDERE SU AMAZON PRIME, MENTRE QUESTO REMAKE AMERICANO IN CINQUE PUNTATE APPRODA SULLA PIATTAFORMA SKY DOPO AVER OTTENUTO RICONOSCIMENTI CRITICI E STANDING OVATION ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA EDIZIONE 2021.

La trama

Mira è un’affermata professionista nell’ambito del tech insoddisfatta del suo matrimonio, mentre Jonathan è un intellettuale, un premuroso professore di filosofia che si sforza di salvare la relazione. Nel corso dei 5 episodi, “Scene da un matrimonio” indaga in tutta la loro complessità le dinamiche più private di questa coppia apparentemente solida, ritratta – quasi spiata – nella sua intimità, così da permettere al pubblico di ascoltare le confessioni, le recriminazioni, di due persone che si amano e si odiano allo stesso tempo.

Stavolta quindi non ci troviamo nella Svezia dei primi anni settanta, percepita come terra inafferrabile ed esotica e non facilmente raggiungibile dal telecomando.

Ad essere spiati nella loro intimità ci sono due rappresentanti più adiacenti a noi: due coniugi americani moderni, interpretati da Jessica Chastain e Oscar Isaac, anche produttori esecutivi della miniserie insieme a Daniel Sebastian Bergman, figlio proprio di Ingmar, e al regista israeliano Hagai Levi, particolarmente attratto dal glamour e della forza prorompente della parola, essendo anche lo showrunner di “Be Tipul”, la serie che ha successivamente ispirato le varie stagioni di “In Treatment” e in cui lui figura tra i produttori esecutivi.

Levi ha inoltre successivamente ideato “The Affair – Una relazione pericolosa”, la serie – disponibile su Tim Vision – che nell’arco di tre stagioni racconta l’impetuosa relazione clandestina fra un insegnante newyorkese e una cameriera di Montauk, entrambi sposati.

Tutte queste informazioni dovrebbero servire da garanzia perché Levi sembra avere una fertile ossessione che lo invoglia ad inoltrarsi di continuo fra i labirinti del rapporto a due. Sia questo un rapporto amoroso o, appunto, un rapporto psicanalista-paziente. Che è pur sempre un rapporto tra una coppia di individui in cui la parola rappresenta la chiave d’accesso a un mondo invisibile di pulsioni e conseguenze psicologiche. Ed ecco che l’atto del raccontare e del raccontarsi si prende il centro della scena, diventando altro, trasformandosi e deformandosi già nel momento in cui le parole vengono scaraventate sul tavolo, in un gioco d’azzardo di disvelamenti, confessioni, autocensure, tatto e sensibilità verso di sé e verso l’altro.

Al di là quindi del confronto con la complessa opera bergmaniana, risiede proprio in questo la curiosità che si può accendere intorno a un prodotto come “Scene da un matrimonio”: il dialogo che divora l’immagine, la messa in scena dell’incomunicabilità attraverso lo strumento principe della comunicazione: una sorta di definizione perpetua di eventi già accaduti da circoscrivere ed esternare in quel luogo complicato che è la relazione di coppia, dove le parole contengono e rilasciano più sfumature, accezioni e significati reconditi rispetto agli stessi termini usati in altri contesti.

Non va inoltre tralasciata la tendenza al voyeurismo più puro e proibito. Che, non nascondiamoci dietro una password, è il presupposto principale e legittimo che ci fa avvicinare a narrazioni di questo tipo, seguendo l’inarrestabile desiderio di identificazioni nelle vicende altrui alla ricerca di conferme, confutazioni, paranoie, sintonie esistenziali. Nel ruolo di spettatori/ospiti scomodi e voraci di aggiornamenti su un argomento che rimane ancora – e fortunatamente aggiungo – un cantiere sempre aperto.

 

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