E’ un mese che Sky propone un po’ proditoriamente ai suoi spettatori diversi speciali che invogliano a vedere la miniserie Speravo de morì prima, dedicata agli ultimi 18 mesi della carriera dello straordinario calciatore che è (stato) Francesco Totti.

Dal 19 marzo domani in contemporanea su Sky Atlantic, Sky Cinema Uno, Sky Cinema UHD e sull’On Demand, una produzione Sky Original tratta dal libro Un capitano scritto da Francesco Totti stesso e da Paolo Condò, giornalista sportivo de La Gazzetta dello sport. A prestare il volto a Francesco Totti è Pietro Castellitto, figlio di Sergio e di Margaret Mazzantini, attore regista e romanista in proprio.

La bella moglie di Totti, la prima soubrette e poi conduttrice televisiva Ilary Blasi, avrà invece le sembianze di Greta Scarano (lanciatissima, l’attrice è sullo schermo come la giovane donna che fa perdere la trebisonda nientemeno che a San Salvo Montalbano, sulle rivali reti Rai), mentre la tosta madre del campione è la grande Monica Guerritore, che presumibilmente donerà al personaggio la sua strabordante carica drammatica. Vi sto dando tutti gli elementi che servono per rendere appettibile l’idea di guardare questo programma, di cui appunto si parla molto. Ma non sono sicura che, se non siete tifosi della ‘magica’ e non siete di vostro appassionati del personaggio sportivo e iconico –un giocatore eccellente che non ha mai cambiato maglia per 25 anni è di per sé materia di leggenda – ci siano motivi veri per seguire la serie.


Cioè un agnostico del calcio (sì, in Italia esiste ancora gente che non tifa e non sa rispondere alla domanda ‘che squadra tieni?’, e, spoiler, ci sarà sempre) che motivi potrebbe avere per avvicinarsi a questa storia?
Beh, almeno un motivo veramente c’è, ed è la legittima curiosità per una vicenda che da sportiva è diventata sociale, attraverso una sorta di drammatico momento collettivo. Sì, perché ‘Speravo de morì prima’ è la storia di un personaggio che dopo 24 anni vissuti come ‘re di Roma’, idolatrato e addirittura prigioniero dell’amore dei suoi tifosi, incontra il suo primo vero problema, o dramma che dir si voglia: l’allenatore Spalletti (nella serie un ‘coraggioso’ Gian Marco Tognazzi), anni prima suo mentore, torna alla Roma che si trova in crisi e decide che il capitano è ormai un po’ bollito, e non lo fa più giocare. La miniserie si incentra su questo momento topico della vita di Totti e di una ‘mezza città intera’ (la Roma dei Romanisti): fu l’allenatore un ingrato insensibile folle o era Totti che non accettava che fosse arrivato il momento di dire basta?
Ecco, questo è effettivamente abbastanza universale, arriva il momento che può interessare chiunque: le cose finiscono, e più in alto sei arrivato nel tuo percorso, più difficile è mollare la presa, anche se sei un comune professionista o un impiegato qualificato. E qui abbiamo un professionista eccezionale: arrivato a 40 anni, dopo averne passati 25 come un supereroe, come un cavaliere senza macchia e senza paura, come un Iron Man di Porta Metronia, quanto è difficile essere messo da parte senza riguardi? Quanto deve essere dura rinunciare all’uragano di amore e ammirazione che ti sono caduti addosso dalla Curva Sud per praticamente tutta la tua vita, senza aver sugellato degnamente la tua vicenda?
Ecco, se descritto a freddo il dramma è poca cosa (giocatore milionario e amatissimo arriva alla fine della carriera quasi senza incidenti di percorso, apprezzato dal mondo del calcio, della tifoseria e dei media nazionali, ma nel suo ultimo periodo prima dell’addio diventa vittima di un’ingiustizia: pathos moderato, dramma sotto controllo), gli ultimi due anni di questa carriera visti da dentro, ovvero dalla mente e dal cuore di Totti stesso, probabilmente hanno la forza di una grande tragedia greca, o meglio romana, senza tempo. Questo è il motivo che può muovere un non tifoso, un non appartenente alla casta dei conoscitori dello sport nazionale, ad avvicinarsi ad una serie come questa. Il cui titolo, forse la cosa più bella di tutto l’insieme, è ispirato ad uno striscione che comparve in Curva Sud nello stadio Olimpico di Roma il giorno dell’addio al calcio der Pupone: speravo de morì prima, prima di vedere il mio capitano smettere di giocare e uscire dal campo per l’ultima volta, con l’eterno 10 sulle spalle per una volta un po’ incurvate. Una lacrimuccia, siamo sicuri, potrebbe scappare.

 

I CONSIGLI DELL’ALGORITMO UMANO

Se si vuole conoscere la storia più completa della carriera del capitano, l’algoritmo umano consiglia anche:

Mi chiamo Francesco Totti: diretto da Alex Infascelli, candidato al Nastro d’Argento, è un film-documentario costruito con immagini di repertorio pubbliche e altre privatissime della vita del Capitano della Roma, cadenzato dalla voce stessa di Totti che racconta dal suo punto di vista la propria carriera. Interessante perché Totti è un personaggio nazionale e tutti lo conoscono, piacevole perché Infascelli è ben capace di costruire un racconto coerente e compatto anche a partire da filmini amatoriali e riprese di cellulare, del film però bisogna accettare prima di tutto il punto di vista forsennatamente soggettivo. Totti, praticamente, racconta e interpreta Totti, con il rischio di una sorta di furore autoreferenziale che soddisferà chi è cresciuto con i suoi poster attaccati ai muri della cameretta, ma che alla lunga fa storcere il naso allo snob che non ha mangiato da sempre pane e calcio. Per autocelebrarsi ci vuole una personalità forse più strutturata, più complessa e alla fine più presuntuosamente consapevole di quella di Francesco Totti, che si vede che ci tiene a rimanere sempre un semplice e onesto ragazzo di periferia nato con un dono speciale.

 

Se volete invece seguire delle storie in cui la carriera sportiva si fa epica, e in cui il racconto di una vicenda professionale si trasforma in leggenda, il vostro algoritmo suggerisce tutte, ma proprio tutte, le puntate della serie Buffa Racconta:

su Sky Sport sono disponibili On Demand i diversi episodi in cui il giornalista e telecronista Federico Buffa racconta, appunto, un personaggio sportivo.
Da Maradona a Pelé, da Mohamed Alì a Jesse Owens, dai campioni del calcio a quelli del tennis, da Ronaldo ad Agassi, dalle città del calcio europee a quelle indiane, dai ring ai campi da tennis agli stadi di calcio. Ogni episodio è uno scrigno di narrativa perfettamente concluso in sé: c’è la trama, c’è la leggenda, la documentazione e un linguaggio di sapore epico che non può lasciare freddi. Per chi ama lo sport, naturalmente, ma anche per chi non resiste al fascino di una bella storia, raccontata con le parole giuste e i tempi giusti: consigliamo di iniziare da Buffa racconta Ronaldo: vedrete che uno che riesce a far rimanere simpatico lo spocchioso campione portoghese è uno storyteller veramente, ma veramente bravo.

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