SU AMAZON LA SERIE CON LUIGI LO CASCIO E CLAUDIA PANDOLFI CHE GIRA IN FEROCE PARODIA UNA STORIA DI MAFIA, EQUIVOCI E TRADIMENTI: BELLA E CRUDELE, SOLO PER CHI PENSA CHE SI POSSA RIDERE DELLE COSE SERIE. voto 8 1/2
DOMANDE PRELIMINARI
Prima di accingersi alla visione dei sei lunghi episodi di “The Bad Guy”, serie italiana scritta da Ludovica Rampoldi, Davide Serino e Giuseppe G. Stasi, bisogna porsi una domanda: è lecito affrontare un argomento serio, anzi grave, anzi tragico come la pervasività della mafia nella vita di uno stato, con tono leggero? È corretto mettere in burla, sfottere crudelmente e irridere apertamente un tema che infiniti lutti addusse agli italiani? Se pensate che no, non va bene, allora non seguite “The Bad Guy”, perdendovi una bella storia che però non riuscireste comunque a godervi. Se invece pensate, come noi, che il racconto tutto può, e che al limite è meglio sdrammatizzare il crimine rendendolo ridicolo che, per esempio, mitizzarlo, allora impugnate il telecomando e preparatevi a un bel fuoco di artificio narrativo.
TRAMA
Nino Scotellaro (Luigi Lo Cascio) è un pubblico ministero che combatte la mafia da tutta la vita, ha anche sposato la figlia (Claudia Pandolfi) di un magistrato ucciso da Cosa Nostra, ma nelle sue operazioni investigative all’ultimo momento non riesce mai ad arrivare alla conclusione suprema: catturare il boss latitante Mariano Suro (non possiamo scrivere chi è, sarebbe spoiler da denuncia), sua nemesi. Quando in un’affollata conferenza stampa Scotellaro espone con veemenza il dubbio che ci sia qualcuno, all’interno del suo pool o dello Stato, che rema contro la sua missione anti-crimine, quel qualcuno (chi? è la domanda che percorre tutta la serie) gira l’accusa verso di lui, e in brevi ed efficaci mosse lo incastra. Coraggioso, onesto e costantemente raffreddato, Nino viene creduto colpevole di doppiogioco e favoreggiamento mafioso, condannato al carcere nonostante la moglie super avvocatessa (sempre la Pandolfi, ancora più bella con la toga stazzonata), allontanato da tutti inclusa la sorella marescialla dei ROS (Selene Caramazza).
PAUSA
Da qui in poi inizia un nuovo racconto, per non dire proprio una nuova serie. Per un ghiribizzo del caso, Scotellaro si trova un giorno a passare con un mezzo della prigione sul Ponte dello Stretto di Messina (sì, nella fiction esiste) che, essendo stato costruito con i denari della mafia (sì, questa rappresentazione stereotipata dell’Italia ha fatto incazzare Salvini, che però non aveva capito che la serie è essa stessa italiana) è farlocco e crolla, con tutto il suo carico umano, nel mare. Salvatosi sempre per il ghiribizzo di cui sopra, Nino decide di approfittare del fatto che tutti lo credono morto per scappare, rifarsi la vita con l’unico scopo di raggiungere la somma vendetta: non più catturare, ma proprio uccidere Mariano Suro, causa non solo di moltissimi mali dell’Italia ma soprattutto (la vendetta in fondo è sempre un fatto personale) delle sue trascorse e recenti disgrazie. Da qui la serie, onestamente già appassionante nella sua presentazione dei personaggi e delle situazioni, subisce un’accelerazione centrifuga da giramento di testa: Nino, intelligentissimo ed espertissimo di cose mafiose, decide senza farsi problemi di coscienza di usare gli stessi metodi di cosa nostra per arrivare al suo vertice, e colpire duro. Contatta un acciaccato boss rivale di Suro, Salvatore Tracina (tutti i cognomi sono collegati in qualche modo al mare e ai pesci N.d.R), riesce a prendere l’identità di un lontano parente di cui nessuno si ricorda veramente (“ma tu, cu minchia sei?”), avvicina il figlio e la nuora e il nipotino appena nato di Suro, entra nel suo entourage in punta di piedi e da quella posizione, assurdamente collocata in un parco divertimenti sull’Adriatico, mette in moto un piano complicatissimo per arrivare ad avvicinare ed eliminare fisicamente il vecchio latitante che di tutto continua a muovere le fila. Il piano è da spy story, da thriller che non puoi non chiamare mozzafiato, da commedia dell’arte 2.0, seguirlo è quasi difficile, ma nella trama non ci sono buchi o incongruenze: la sceneggiatura è quel che si può definire perfetta. Nel frattempo infatti ci fa seguire gli incastri con le indagini che la sorella di Scotellaro, Leonarda nel frattempo diventata Marescialla, conduce per arrivare anche lei a Suro e per capire chi è la mente (“ma tu, chi minchia sei”) di quella che appare come una missione parallela a quella dei Carabinieri ma gestita da dentro, e poi le mosse di Luvi, disperata vedova di Nino che esistenzialmente barcolla, e che travolta dai sensi di colpa finisce per accettare di lavorare con un suo ex dipendente (che fondamentalmente vuole solo portarsela a letto). Forza centrifuga, si è detto: lunga e vorticosa serie di eventi che è pleonastico raccontare, e che vedono la figura di Nino Scotellaro/Balduccio ‘tuchiminchiasei’ Remora farsi sempre più grande, oscura e potente. Ma
ATTENZIONE
Se è vero che la trama avvince come quelle dei migliori serial americani, e altrettanto vero è che lo spettatore prende posizione e si appassiona alla vicenda personale del protagonista, dobbiamo avvertire che è meglio non affezionarsi a nessun personaggio, nemmeno quelli più ‘simpatici’: ognuno alla fine risulta o stupido o cattivo, o entrambe le cose e finendo per lo più per morire in malo modo. Qui sta la particolarità di questo prodotto, il merito di aver scelto la ‘parodia’ di alto profilo del genere crime story per raccontare una storia di crimini: perché la cifra di “The Bad Guy” è il ridicolo, la scempiaggine esibita, la risata scettica, il rovesciamento carnevalesco. La trama infatti funziona ad orologeria, ma le storie sono assurde, i personaggi sono pazzi o cretini, le situazioni sono idiote, anche le motivazioni non sono sufficienti per i litri di sangue che fanno scorrere: questa storia, pur attraendo per la sua ingegnosa sceneggiatura, finisce, con le sue volute somme incongruenze, per dimostrare plasticamente la stupidità del male. Attentati che non riescono, frasi ad effetto che vengono smentite all’inquadratura successiva, capi mafia codardi, figli imbranati, colleghi succubi, bambini tenuti a mollo per non sentirli piangere, anziane libidinose e giovani schizofreniche: la mafia è un casino, e non è detto che un giorno non finisca seppellita magari non da una risata, ma dalla propria stessa assurdità ontologica.
Per questo, a nostro sindacabile parere, “The Bad Guy” è un’opera meritoria e a suo modo pedagogica, perché fa quello che Nino Scotellaro fa nel corpaccione corrotto del rapporto stato/mafia: ci entra dentro e apparentemente ci si accomoda, ma col fine esplicito di far saltare tutto appena possibile.
PUNTI FORTI
Ogni personaggio è a suo modo rappresentativo, sono tutti cesellati a dovere per esprimere una qualche particolarità sociale o psicologica, e naturalmente i due protagonisti, Nino e Luvi, sono quelli più ricchi e pieni. Luigi Lo Cascio, con la sua faccia passepartout, è eccezionale. Si trasforma da eroico magistrato, acciaccato nel fisico ma solido nella morale, a piccolo criminale anonimo che riesce a entrare ovunque, per finire crudele e fortissimo capo mafia leader di una rivolta interna a cosa nostra che coinvolge tutti i clan siciliani: e si trasforma davvero, senza sforzo apparente, tanto diverso di volta in volta a rendere credibile il fatto che chi lo incontra nella nuova vita non riconosce in lui l’uomo della vecchia. Intenso come sa essere, Lo Cascio è anche divertente, goffo quando serve, minaccioso quando deve, carismatico quando gli tocca. Per noi straordinario (vedi parentesi sotto), Lo Cascio non oscura però gli altri interpreti, ognuno come detto titolare di un personaggio che è un mondo a sé. Menzione speciale per Vincenzo Pirrotta, attore teatrale amato dal cinema e da Mario Martone, che col suo Salvatore Tracina dipinge un criminale multistrato, deluso dalla vita dalla famiglia e anche dal crimine, più intelligente della somma di quelli che lo circondano, e comunque determinato a non lasciare che il destino lo faccia morire di cancro, come una persona qualsiasi. Claudia Pandolfi invece, pur credibile in un personaggio importantissimo in sé (occhio, non è ‘solo’ la moglie di Nino), in questa serie è offuscata dalla sua stessa bellezza: ha voglia lei a essere brava a mostrare le diverse facce del dolore di una moglie e della bravura di una professionista, quello che si vede sullo schermo è una donna che più invecchia più è bella, forse al massimo del suo splendore alla soglia dei cinquanta, e ispira pensieri lubrichi in qualcuno e somma invidia in altre.
(PARENTESI – Luigi Lo Cascio è più che versatile: è la quintessenza dell’attore che non interpreta un personaggio, ma lo DIVENTA. Da “I cento passi” in poi, è stato uomo comune, eroe, sbandato, tragica vittima, terrorista, addirittura gran seduttore pur senza il fisico del ruolo. Ma sempre credibile, per la qualità intrinseca di non mostrare mai sé stesso, indossando fino al midollo i panni del personaggio chiamato a rappresentare. Nella per noi celebre trilogia comica “Smetto quando voglio”, quando appare il suo personaggio (come in “The Bad Guy” un tizio buono che una crudeltà trasforma nel più crudele del mondo, o almeno di Roma) il tono farsesco e brillante del film ha una specie di tentennamento traslucido, e i momenti che lo vedono in scena sono momenti drammaticamente intensi, da tragedia senza schianti, da coro greco. L’Algoritmo Umano giudica Luigi Lo Cascio come uno dei migliori attori italiani della sua generazione, un Elio Germano senza la componente pervicacemente autoreferenziale, un Pierfrancesco Favino senza il complesso di superiorità, e se vogliamo fare un paragone (eccome se vogliamo, ci piacciono una cifra i paragoni) con le stelle transgenerazionali di Hollywood, quello a cui si avvicina di più non è il carismatico De Niro o il magnetico Pacino, ma l’apparentemente ‘neutro’ Dustin Hoffman, che come il nostro è sempre disponibile a raccontare la storia interiore di un personaggio, ma molto poco interessato a mostrare quella sua personale.)
CONCLUSIONE
Amazon Prime fa davvero uno dei suo colpacci, proponendo una serie eccellente, piacevole e importante, che l’Algoritmo Umano consiglia caldissimamente. Con un solo, grande, alert: il finale è difficile da digerire. Chi ha visto, sa, chi deve vedere si tenga pronto: il finale è una coltellata, un colpo di lupara bianca, un agguato mafioso in piena regola. Speriamo che non siate tipi vendicativi, perché in quel caso non vorremmo essere gli autori…