Mentre l’ultimo film di Nanni Moretti approda trionfalmente al 76esimo Festival di Cannes, in tv (Apple Tv e Amazon) si può vedere “Tre Piani”, in concorso l’anno passato
Al Festival di Cannes del 2022 il film diretto da Nanni Moretti, “Tre Piani”, ottenne 11 lunghi minuti di applausi con standing ovation, quasi la scena della rivalsa fantozziana sulla Corazzata Potemkin. Poi lasciamo stare che il film non vinse, e tralasciamo di conseguenza anche il post su Instagram, in cui Nanni lamenta, polemico ma irresistibile, che ‘poi vince un altro film, in cui la protagonista rimane incinta di una Cadillac. Invecchi di colpo. Sicuro.’
In ogni modo, all’estero gli addetti ai lavori apprezzarono molto il primo film di Nanni Moretti in cui la sceneggiatura originale non era firmata da lui stesso. Da noi invece il pubblico che ama Nanni e che lo tratta come si trattano i figlioli prodighi o i bomber della squadra del cuore anche quando non segnano, ha giudicato ‘poco morettiano’ “Tre Piani”, tratto da un romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, e quindi è rimasto vagamente deluso.
Come si deduce anche dall’entusiasmo di quando hanno visto “Il sol dell’avvenire”, attualmente al cinema oltre che a Cannes, commentando invariabilmente – e trionfalmente – che Moretti è tornato a fare Moretti.
Pur amando Moretti quando fa Moretti (gli apprezzatori del regista romano sanno cosa significhi questa tautologia un po’ infantile), l’Algoritmo Umano apprezza anche i lavori meno autoironici, egoriferiti e volutamente provinciali del regista, e in particolare giudica molto positivamente “Tre piani” (attualmente su Apple Tv e Chili), tratto da un libro bellissimo da cui però prende le distanze per scavare in autonomia dentro temi e suggestioni che sono, effettivamente, molto… morettiani.
TRE PIANI
La storia originale è ambientata a Tel Aviv, con tutto il peso culturale, emotivo e di immaginario che questo comporta per il suo autore, cinquantenne israeliano conosciuto per “La simmetria dei desideri”, e che coi suoi libri ritrae meravigliosamente l’atmosfera e soprattutto l’anima del suo paese.
Moretti prende l’azione e la trasferisce a Roma, raccontando quindi l’anima di un altro paese, ma mantenendo inalterato il senso profondo e universale dei significati simbolici della storia.
Siamo dunque in un condominio romano, anonimamente benestante, e la trama si compone delle storie, che solo superficialmente si sfiorano, di quattro famiglie che abitano sui tre piani del palazzo. La famiglia di un giudice (Moretti) portata allo sfascio dalla sua stessa granitica severità morale, quella di un aitante architetto (Scamarcio) che si trova nei guai con gli anziani dirimpettai, quella di una giovane madre (Rorwacher) che rimane troppo spesso sola ad affrontare i suoi allucinanti demoni interiori.
Se nelle sinossi del film leggerete (lo leggerete) che le storie si ‘intrecciano’ non ci credete: solo due famiglie hanno una vera, drammatica e densa di conseguenze, interazione, per gli altri funziona come per i vostri vicini di casa, che ogni tanto incontrate e chiamate per nome, ma dei cui sogni e incubi non sapete, a conti fatti, un bel niente.
Un incidente di macchina che provoca una morte, un sospetto terribile su una persona che non può difendersi, una malattia mentale che affiora lentamente e sconvolge: di questo racconta il film, di eventi inattesi che irrompono a volte nella vita delle persone. E di come ognuno reagisce ai fatti che capitano, cercando il più delle volte di salvare il salvabile al contempo preservando i propri affetti o i propri valori, quando non si può mantenere entrambe le cose. Nel film le diverse reazioni vanno male, bene, provocano disastri, ma del resto è chiaro che ognuno fa come sa, o come può, davanti a un destino più grande di lui.
Una riflessione quindi nemmeno amara, ma molto realistica, sul caso, e su come il caso in un attimo cambi il corso che si credeva stabilito di una intera esistenza. Il caso, il perdono, l’amore incondizionato ma non gratuito né scontato per i figli. Questi i ‘temi’ di un racconto che però non vuol dimostrare niente, solo mostrare delle traiettorie che scartano dal percorso previsto. A volte di un centimetro, a volte di anni luce. Perché la vita interviene mentre tu fai progetti, e se ne frega se sei un architetto, un giudice o una persona in buona fede, ti manda all’aria tutto e tu poi devi rimettere tutto in ordine, ma un nuovo ordine.
La matrice israeliana del racconto, per chi conosce un po’ la letteratura e la filmografia di quella cultura, è evidente nel connubio unico tra sobrissimo verismo della rappresentazione, scabra indagine dentro i caratteri, e una patina di surrealtà magica che scompagina le aspettative, come nelle allucinazioni di Monica, o nella svolta di Dora (Buy) che diventa in un attimo una persona completamente diversa da sé stessa, o nella scena del festival del tango per le strade di Roma.
Un film bellissimo, stranamente avvincente, che si concede anche dei momenti di tensione thriller, tenuti con mano fermissima da Moretti, che per sé invece come attore ritaglia una parte minuscola, importante ma sgradevole.
Di veramente morettiano in effetti c’è la recitazione, che il regista impronta al suo tipico registro personale, fatto di tono monocorde e improvvise accelerazioni di passione subito trattenute. Spiccano nel cast una Margherita Buy di bravura eccezionale in un ruolo non facile perché non brillante né disperato, ma disperatamente normale, e Riccardo Scamarcio, che rinuncia a gigioneggiare ma mantiene nel fondo del suo sguardo ammaliatore quella carica di pericolosa minaccia che ne fa un interprete ideale di personaggi ambigui.
Per noi il film merita un voto molto alto, osiamo un 8, dato per il racconto ipnotico, le sfaccettature simboliche, la capacità di tratteggiare personaggi senza infinite tirate e discorsi altisonanti. Come succede nei favolosi messaggi di una moglie alla segreteria telefonica del marito morto, che quando iniziano a farsi aulici vengono inesorabilmente interrotti dal beep. Perché, come dicono a Roma e chissà se anche a Tel Aviv, in fondo le chiacchiere stanno a zero.