LA CROISETTE È PRONTA AD OSPITARE LA 74ESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DI CINEMA PIÙ CHIC. IN ATTESA DI SCOPRIRE I MIGLIORI FILM PROIETTATI A CANNES 2022, RITORNIAMO SULLE PELLICOLE CHE SI SONO AGGIUDICATE L’AMBITA PALMA D’ORO NELLE ULTIME CINQUE EDIZIONI.

2016

Io, Daniel Blake (Amazon, Sky, Now, Nexo)

Regia: Ken Loach

Senza fronzoli, con un arsenale registico ridotto al minimo indispensabile, Ken Loach ‘il rosso’ pedina un falegname sessantenne di Newcastle che combatte per ottenere il sussidio di disoccupazione dopo che un infarto lo ha reso inabile al lavoro. Loach si infila nelle contraddizioni del capitalismo, del welfare britannico e della sua pachidermica burocrazia, raccontando di nuovo le angherie sofferte da un individuo ai margini. Con indignazione e irriducibile oggettività.

Se volete, fate un passo indietro di 10 anni e su Amazon, Sky o Now guardatevi “Il vento che accarezza l’erba” con cui sempre Ken Loach vinse la sua prima Palma d’Oro nel 2006. C’è Cillian Murphy nell’Irlanda del 1920, che lascia gli studi per unirsi ai connazionali combattenti contro gli odiati inglesi. Gli sviluppi della guerra civile, fra ardori di indipendentismo e trattati di non belligeranza, metteranno due fratelli sui lati opposti della barricata.

 

2017

The Square (Amazon, Mubi)

Regia: Ruben Ostlund

Stoccolma: il furto del cellulare mette a soqquadro la vita del narcisistico curatore di un museo di arte contemporanea. Riflessione ironica e ricca di sfaccettature sullo snobismo artistico, gli squilibri calcolati a tavolino, le provocazioni asincrone confinate in un mondo privilegiato rispetto al caotico spazio circostante cioè il mondo reale, con cui il protagonista si trova goffamente costretto ad interagire.

In questa farsa allo humor nero finisce sotto scacco l’egualitaria e iper-imborghesita Svezia: un paese che sembra cortocircuitato, una nazione-museo abitata da automi e in cui l’intellettualismo, l’altruismo, e il concetto di avanguardia sono vuoti e inutili feticci.

Dello stesso autore, vi consigliamo “Forza maggiore” (su Amazon, Mubi e Nexo). Premiato a Cannes nel 2014 nella sezione Un Certain Regard, mette a nudo l’istintiva vigliaccheria di un uomo che, durante una settimana bianca, non esita ad abbandonare i suoi cari per mettere in salvo se stesso quando una valanga di neve si abbatte su un ristorante. Tutti ne escono incolumi, tranne i rapporti coniugali e familiari.

 

2018

Un affare di famiglia (Amazon)

Regia: Hirokazu Kore-eda

Uno spaccato sociale del Giappone contemporaneo. Ê la storia di una famiglia povera – formata da una coppia con bambino, da una cognata/ studentessa/prostituta e da una nonna con un passato sordido – che vive di furtarelli ed espedienti vari. Un giorno decidono di accogliere in casa una bambina maltrattata dai genitori e abbandonata. La famiglia si allarga mantenendo comunque l’armonia, fino all’avverarsi di un tragico imprevisto che porta alla luce un segreto brutale. Un film da osservare ampliando il proprio sguardo sui codici gestuali, sui dettagli quasi impercettibili, perché sono la base della poetica espressiva dell’autore nipponico, abilissimo nel passare dalla commedia al dramma, smussando i paradossi e calcando piano piano le crepe trasparenti responsabili di un’instabilità. Gradualmente, con lentezza e pazienza, quasi in sordina, si arriva all’acme, dove convergono regole scritte e non scritte, antiche e moderne di un paese, il Giappone, stracolmo di contraddizioni.

2019

Parasite (Raiplay)

Regia: Bong Joon-Ho

Possiamo azzardare nel dire che “Parasite” sta al cinema come “Squid Game” alle serie tv. Entrambi hanno recentemente scaraventato la Corea del Sud oltre la nicchia di confine dell’intrattenimento d’autore. Per fortuna. Perché parliamo di una cinematografia da guardare con curiosità e ammirazione.

Vincitore anche di 4 Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura originale e film internazionale) e di 1 Golden Globe, “Parasite” racconta la strategica invasione di una famiglia di disoccupati all’interno della lussuosa casa (e vita) di una coppia di facoltosi. Ed è un capolavoro soprattutto per come riesce a variare registro passando dalla tragicommedia black al dramma, scivolando nel thriller ma tenendo la barra dritta sulla rappresentazione di una società classista.

Con lucidità travolgente, sequenze registiche da applausi, un meccanismo narrativo che è sia rima baciata che geometria perfetta. Posato, pirotecnico, appagante. Raffinato ma crudele. Guardando “Parasite”, sembra di stare dentro un ascensore, e a ogni piano rimanere sbalorditi dalla sorpresa. Scantinato compreso.

 

2021 (nel 2020 il Festival di Cannes non ebbe luogo a causa della Pandemia)

Titane (Disponibile per noleggio o acquisto su: Rakuten, Amazon, Google Tv, AppleTv, Chili)

Regia: Julia Ducournau

Una Palma d’Oro cyberbunk. Lamiere, incendi, delitti, pulsioni, sesso e scambi di identità. L’opera seconda di Julia Ducornau (una donna torna a ricevere il premio dai tempi di Jane Campion e il suo “Lezioni di piano”) è tanto suggestiva quanto inafferrabile. Affine alla sua protagonista, Alexia, a cui da bambina hanno impiantato una placca di titanio in testa in seguito a un incidente. Da adulta è una ballerina sexy, ma anche una serial killer. Intanto c’è un padre (il sempre impeccabile Vincent Lindon) che cerca suo figlio ed ecco che i destini dell’uomo e della donna psicopatica assassina si intrecciano.

Un film che guarda alla visionarietà di David Cronenberg e di (per i più cinefili) Shin’ya Tsukamoto, con strizzate d’occhio a Xavier Dolan. Molti, troppi mentori e un eccesso di patinata spocchia in filigrana. Paraculissimo ma spavaldo e visivamente affascinante come un trip allucinato, travagliato come la digestione di un cannibale. Ê un film che impone il suo sguardo surreal-delirante. Che strapazza il corpo umano in ogni sua porzione. Un film carnale, metallico e fluido. Una delle Palme d’Oro più discusse nella storia di Cannes ma che ha conquistato il presidente Spike Lee e il resto della giuria, di cui facevano parte anche Maggie Gyllenhaal e Melanie Laurent.

 

 

 

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