RIFKIN’S FESTIVAL: TRE MOTIVI PER GUARDARE L’ULTIMO FILM DI WOODY ALLEN, E TRE PER NON FARLO, IN UNA NON RECENSIONE PER QUASI CINEFILI

Rifkin’s Festival, Amazon Prime Video

La trama: Mort Rifkin (Wallace Shawn), un maturo anzi anziano aspirante scrittore newyorkese ex critico e professore di cinema strenuamente appassionato dei classici europei, accompagna la moglie Sue (Gina Gershon) in Spagna, dove lei a sua volta accompagna in qualità di agente un rampante regista francese (Louis Garrel) a presentare il suo film al celebre Festival Cinematografico di San Sebastian. Rifkin teme a ragione che la moglie sia innamorata del giovane saccente cineasta, ma nel frattempo fa anche lui una conoscenza che lo distrarrà dai suoi pensieri, mentre intanto continua a fare sogni in bianco e nero ispirati al neorealismo italiano e alla nouvelle vague.

PERCHE’ VEDERLO

#1 Perché Woody è Woody, anche nei film non riusciti, e in questo suo ultimo tornano alcuni tipici dialoghi di ironia fulminante e qualcuna delle battute per cui, appunto, Woody è Woody. Quando il giovane regista francese per cui tutti si sdilinquiscono dice di voler fare un prossimo film in cui darà delle soluzioni per la questione israelo-palestinese, il suo mite antagonista Rifkin lo prende in giro, ma non dicendo (come ci si aspetterebbe) che la sua aspirazione è assurda e allo stesso tempo conformista, volendo affrontare un problema troppo grande: no!, Rifkin lo infama prendendolo in giro perché troppo ‘superficiale’. I grandi temi secondo il vecchio Mort riguardano solo e solamente il senso della vita e soprattutto di quello che c’è (o non c’è) dopo la vita. Ribaltamento geniale, e il prenditore in giro è a sua volta il preso in giro, come nel più classico stile autoironico giudaico dell’autore (di cui Mort è come sempre l’alter ego).

#2 Per la recitazione ‘alleniana’. Woody Allen fa finta di no, ma è un grandissimo direttore di attori: i suoi attori recitano tutti allo stesso modo, rendendo una naturalezza innaturale, che riprende l’atteggiamento del regista stesso, esponente di una certa borghesia intellettuale che vuole -ma non può- prendersi meno sul serio. Nei film di Allen, gli attori sembrano, dunque sono, tutti bravissimi, dai protagonisti alle comparse, che qui sono i personaggi spagnoli che riescono a non eccedere nello spagnoleggiare. Gina Gershon, nonostante sia come tante attrici della sua generazione ormai scolpita nel botulino, rende in modo del tutto naturale una donna volitiva e piacente che non si arrende al tempo che passa, con alcuni dettagli che incantano per la loro vividezza: quando si prepara per uno dei numerosi eventi mondani previsti dal Festival e mentre intanto sproloquia contro il marito, cambia e ricambia posto agli enormi bracciali che porta al polso, in un gesto fluido che denuncia insieme nervosismo, insoddisfazione, atto mancato, rabbia repressa, rendendo un gesto che solo chi ha osservato a lungo (o è stato) una donna nervosa insoddisfatta e repressa può riproporre. Tocco di classe, come si dice.

#3 Per gli inserti onirici che sono ognuno una citazione da film del periodo classico della cinematografia europea (più Welles). Un fantastico omaggio al cinema, da una gentile concessione alle proprie personali ossessioni, un regalo per i cinefili: chi ama il cinema riconosce le scene e le atmosfere a cui i sogni di Mort si rifanno, e apprezza l’estremo gesto di riverenza e di amore che esso rappresenta. Oltre a rimpolpare narrativamente una trama che oggettivamente è piuttosto esile.

 

PERCHE’ NON VEDERLO

#1 Per gli inserti onirici che sono ognuno una citazione da film del periodo classico della cinematografia europea (più Welles): chi non sia cinefilo, o chi lo sia poco e non abbia studiato abbastanza la storia della Settima Arte, non capisce le citazioni, non li riconosce, e può trovare gli inserti stucchevolmente fini a sé stessi, una specie di esercizio di stile estetizzante, non degno dei migliori Allen (tipo la Rosa Purpurea del Cairo, in cui il riferimento era un ‘mood’, non un singolo film, e quindi era accessibile a tutti.)

#2 Per il personaggio poco riuscito del giovane regista francese di cui la moglie di Mort si innamora, Philippe. L’intento di Allen è palesemente parodiare la figura del borioso pseudo-intellettuale para-artista, che accumula argomenti ostici e atteggiamenti pensosi per darsi un tono e definire sé stesso come creativo, senza veramente esserlo. Un personaggio saccente e pieno di sé che dovrebbe risultare esasperante, e rendere ridicola l’infatuazione della moglie di Mort che, è chiaro, lo sceglie solo per la sua avvenenza e non per il contenuto della sua mente. Ecco: Louis Garrel è talmente fico, talmente charmant, che il personaggio non risulta una parodia, ma anzi affascina davvero. E si è disposti a credere che i suoi film (che non esistono) siano capolavori, e non si esita un momento a dar ragione a Sue che gli casca tra le braccia quasi senza combattere. L’antipatico non è lui, ma risulta il giustamente geloso Mort. Scelta sbagliata Woody, ricordati che un francese se la gioca, sull’antipatia, e se piace, piace pure e soprattutto per quella.

#3 Per la rappresentazione da cartolina della Spagna. Ormai Allen ci ha abituato: nessuno racconta New York meravigliosamente bene come lui, ma purtroppo in pochi (tra i bravi) ritraggono l’Europa in modo altrettanto banale. La San Sebastian in cui Rifkin si aggira, solo o con la caliente dottoressa che lo guida, è colorata, piena di locali sfiziosi, con il vento e il mare d’ordinanza, e i mercatini pieni di cianfrusaglie che perfino i turisti veri ormai non considerano più. Tanto stereotipata è questa rappresentazione, che verrebbe il dubbio che lo scaltro Woody abbia voluto anche qui canzonare parodizzandolo un regista americano che gira in Europa. Noi speriamo che sia così, però non ha funzionato, stavolta come in To Rome With Love, quindi speriamo che per il prossimo appuntamento Woody torni a casa, nella sua adorata Manhattan.

Un commento

  • Roberto ha detto:

    Tutto vero, tutto giusto, tutto da condividere, ma l’autrice dell’articolo/recensione dimentica completamente un buon terzo del film, che racconta sempre in stile Alleniano i patetici tentativi di approccio seduzione dell’anziano goffo protagonista maschile verso la bellissima Elena Anaya, in quella loro gita. Tentativo che dovrebbe in un certo senso bilanciare, ripagandolo del tradimento della moglie col regista francese.

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