SU AMAZON, “PRISMA” RACCONTA AMORI, DOLORI E INDECISIONI DI GENERE DEGLI ADOLESCENTI DEL TERZO MILLENNIO: SCRITTA E DIRETTA DALLO STESSO AUTORE DI “SKAM ITALIA”, LA SERIE E’ BELLISSIMA, PARLA DI GIOVANI MA E’ CALDAMENTE RACCOMANDATA A TUTTI I TIPI DI PUBBLICO
CONFRONTI, ALCUNI INUTILI
Ludovico Bessegato è l’autore di “Prisma”, ma prima è stato l’autore del successo straordinario di “Skam”, serie ispirata a un format norvegese che racconta la vita di un gruppo di adolescenti di oggi. “Skam” dunque incombe su “Prisma”, ma noi sgombriamo subito il campo da fraintendimenti: la serie programmata ora su Amazon Prime può essere vista anche da chi Skam non lo conosce o pensa sia il nome di un tavolino di Ikea.
In poche ma confuse parole: chi ha già visto Skam deve guardare Prisma perché rispetto a quella questa serie è un’evoluzione, un upgrade, un miglioramento stilistico e di contenuti, insomma è pure meglio; mentre chi non ha visto Skam si godrà Prisma con l’emozione delle prime volte, senza confronti fuorvianti, con l’unico problema che dopo averla vista vorrà vedere anche Skam, rimanendone inevitabilmente deluso perché Prisma rispetto a Skam è un’evoluzione etc etc (leggi sopra).
Come lo stesso Bessegato ha dichiarato, sono altri i modelli con cui comparare la sua creatura più recente: “Prisma” in effetti può essere considerato un “Euphoria” senza la disperazione, e un “We Are Who Whe Are” senza (sintetizzo) le pippe concettuali. In effetti c’è lo stesso tema ad accomunare le tre serie, un grande monolite dell’attualità tanto rischioso quanto ineludibile, una specie di elefante nero nella stanza: la indefinitezza dell’identità di genere nelle nuove generazioni. Assegnata una lettera a caso a una generazione, essa verrà definita da una problematica in cui i suoi rappresentanti si riconoscono: alla generazione Z è toccato il tema ‘gender’. Però sia in “Prisma” che negli straordinari “Euphoria” e “WAWWA” (ne abbiamo parlato qui e qui), questo tema non è svolto mai come un compitino, ma compone un immaginario convincente e avvincente, che avvolge chi guarda non solo in una riflessione ma in una reale emozione, che rimane nel tempo lasciando un pezzo di sé all’interno dello spettatore: inconfessata speranza di risultato ultimo per ogni prodotto creativo.
LA RECENSIONE: VOTO 8 E LODE
Attraverso il prisma si può dimostrare come la luce bianca sia data in realtà dalla somma di infinite sfumature di colore. Allo stesso modo ogni personalità, e a maggior ragione ogni ‘generazione’, è la somma ultima di tantissimi elementi diversi tra loro, indefinibili nelle loro singole parti. Ecco la spiegazione del titolo di questa serie tv dedicata ai giovani che è -a volte la scarnificazione di un aggettivo ne aumenta l’efficacia- bellissima.
E’ la storia di un piccolo gruppo sommamente eterogeneo di ragazzi che vivono in provincia, tra Latina e Sabaudia (l’ambientazione della teen story si allontana per la prima volta dalla consueta location metropolitana di Roma e Milano, e ci guadagna rinunciando agli stereotipi dell’urban style all’americana), e in particolare di Andrea e Marco, due fratelli gemelli. Uno forte e coraggioso, con diversi ‘impicci’ tra cui lo spaccio per ‘tirare su’ qualche soldo, e l’altro problematico, fragile e complessato. Uno dei due, non quello che ti aspetti, ha in realtà un segreto che nasconde benissimo dietro un’apparenza del tutto ‘regolare’: ama travestirsi da donna e, grazie al tipico ‘anonimato pubblico’ consentito dai social, intreccia una relazione virtuale con un ragazzo etero fingendosi una lei. E’ gay quindi Andrea? La domanda nel contesto della storia in realtà non ha senso. Andrea è gender fluid, non sa ancora chi o cosa è, si veste a seconda di come si sente in quel momento, non ha ancora un’etichetta e sembra che nonostante il suo tormento non la stia cercando. Questa ‘definizione di indefinito’ spiazza chi guarda, soprattutto gli adulti: infatti se è vero che l’indecisione di orientamento sessuale esiste dalla notte dei tempi, è vero anche che veniamo da due secoli innegabilmente bigotti, eredi della morale restrittiva dell’Ottocento, e questo tipo di istanze sono state sepolte sotto pesanti strati di rimosso e negazione. Quindi l’accettare il concetto stesso di ‘fluidità’ e di indeterminatezza di genere è per molti, nei fatti, non semplice.
La storia di Andrea e dei suoi amici affronta questo argomento con una sensibilità e una spontaneità che riescono a sciogliere il nodo formato da ignoranza, paura e preconcetto. Come detto, “Prisma” affronta il tema senza fare lezioni, e in questo sta la sua straordinaria efficacia: dopo un solo episodio lo spettatore è senza remore dalla parte di Andrea, per niente imbarazzato dalle foto che manda fingendo di essere una ragazza, completamente empatico piuttosto nella sua faticosa ricerca di sé che nella freddezza severa di un padre che proprio non ci arriva. Quello che succede ad Andrea, le avventure che ha mentre aiuta il fratello con la sua depressione, conosce una ragazza lesbica che lo aiuta a capirsi, si avvicina al ragazzo che gli piace e che non sa di avere una relazione virtuale con lui, sono le tappe di un romanzo di formazione. Una storia di crescita, non usuale ma invece classica: mentre si cresce si è tutti indecisi, confusi, ancora pieni di potenziali inespressi. Non importa se non tutti hanno indossato di nascosto i vestiti del genitore dell’altro sesso: ognuno ha fatto cose che sapeva sarebbero state censurate, solo perché sentiva di farlo. La retorica dell’essere sé stessi qui non è retorica, perché si parla del momento in cui il sé davvero si sta ancora formando, è un processo fondante. Non importa se Andrea è gay o piuttosto un cross dresser, se Carola ha una gamba artificiale, se Daniele ha talento per lo sport o nuota solo per ripicca, se Marco ha una timidezza patologica: quello che importa è la materia emozionale di cui sono fatti, le relazioni che stanno costruendo e che, quelle sì, li definiranno.
L’orientamento e l’identità di genere dei personaggi sono caratteristiche, ma il vero focus della storia è sulle loro relazioni, sui sentimenti: per questo empatizziamo con loro, appassionandoci alla storia d’amore di un teenager, quale che sia l’oggetto del suo amore. Gli sguardi e i palpiti e le sensazioni dell’amore a diciassette anni: l’emozione allo stato primigenio, quella che forse poi andiamo cercando di ritrovare per tutto il resto della vita. Inutilmente, verrebbe da dire.
Riuscitissima questa immedesimazione nella serie di Ludovico Bessegato, che lascia le improvvisazioni e i cliché che pure hanno fatto il successo di Skam a favore di uno stile più definito e allo stesso tempo rarefatto, uno sguardo d’autore che però è anche accessibile, popolare nel senso di comune a tutti. Complice del successo dell’operazione lo straordinario protagonista, l’esordiente Mattia Carrano, di una bravura mostruosa (perché non cede alla tentazione del virtuosismo) nell’interpretare due gemelli così diversi. Ma soprattutto nel tratteggiare il protagonista, Andrea, introverso e segreto da una parte, queer e esibizionista dall’altra, perfettissimo rappresentante di una generazione per cui la relazione tra aspetto fisico e identità è complessa, straniante e in fin dei conti fondamentale. Negli otto episodi si fa in tempo a conoscere ed amare un personaggio che non sarà facile dimenticare, e senza voler rivelare troppo, quando la sua ‘stranezza’ viene finalmente accolta dalla persona a causa della quale essa veniva nascosta, lo spettatore tira un sospiro di sollievo. E chi abbia dei figli adolescenti è portato a pensare che ci sono problemi ben più gravi per un genitore che avere un figlio che non sa in quale reparto del negozio scegliere i propri abiti.
CONCLUDENDO
Una storia di formazione ai tempi dell’indeterminatezza di genere: nell’americano “Euphoria” affonda le radici nel dramma e si nutre di disperazione, nell’internazionale “Who Are Who We Are” si allarga in una riflessione filosofica che annega a tratti nell’autocompiacimento, mentre nel molto italiano “Prisma” si concretizza in un racconto intimo e poetico che ottiene il risultato di riportare tutto a una complessa ma risolutiva ‘normalità’: far accettare la diversità come la sfumatura di un colore che è all’interno di un prisma comune. Può sembrare consolatorio, per il pubblico, e forse lo è, ma nell’accezione buona dell’aggettivo, quella che ha a che vedere con la speranza. E se sei capace di evitare retorica, banalità e contraddizione parlando di speranza, allora voglio anche io essere consolata da te. Bessegato vince la sfida di superare sé stesso, e la sua serie merita pieno un 8 con lode (se non esiste lo inventiamo ora).