Sappiamo che la tv ama la psicanalisi, e ne abbiamo ora una ennesima conferma che arriva da Oltreoceano. A 11 anni dall’ultima stagione, torna In Treatment, la serie americana ispirata al format israeliano di incredibile successo, Be’ Tipul. Per tre stagioni dal 2008 gli Americani, e quindi il mondo, hanno seguito le sedute terapeutiche dei pazienti del dottor Paul Weston, interpretato da un credibile, affidabile, consolante ancorché tormentato per conto suo Gabriel Byrne. Se voleste farvi un’idea di ciò di cui si parla, le tre stagioni sono visibili sull’On Demand di Sky, ma per sintetizzare: una delle migliori e più accurate produzioni televisive di argomento psicanalitico, con problemi verosimili, soluzioni accettabili e storie sempre emozionanti e appassionanti, sul filo del tragico senza quasi mai scivolarci del tutto dentro (e noi consigliamo con calore la bellissima versione italiana, sempre visibile su Sky, di cui abbiamo parlato qui) .
Ora, a 11 anni dalla terza stagione, tutto è cambiato, il mondo è diverso, la sensibilità dello spettatore si è affinata, Gabriel Byrne si sarà anche stufato di rimanere per oltre 200 episodi seduto sulla sua poltrona di pelle, quindi quello che si vedrà dal 27 luglio su Sky Atlantic sarà una versione del tutto rinnovata del celebre e amato format.
Una versione, possiamo dire, super politicamente corretta. La spinta ad aprire un nuovo capitolo di un prodotto ormai classico sembra infatti essere quella di aggiornare, adeguare la trama alle ‘esigenze’, narrative e di contenuto, dello storytelling attuale. Ovvero (e ora esageriamo con i prefissi accrescitivi) ultra corretto, iper attento a tutte le sensibilità, post pandemico e poli inclusivo.
Nel vedere come lo scettro del terapeuta maschio bianco venga preso da una donna e di colore qualcuno, come la brava e premiata interprete della dottoressa Brooke Taylor, si entusiasma per la visibilità data a un nuovo ruolo per le persone come lei, mentre qualcuno si chiede, non in modo malizioso ma piuttosto lungimirante “ si tratta di un progresso nella rappresentazione dell’inclusività, o l’estendersi di un nuovissimo stereotipo”? Ci si preoccupa cioè del nascere di una nuova retorica, quella della dottoressa afroamericana necessariamente consolante, accogliente ed empatica
Noi ci schieriamo con Uzo Aduba, l’attrice di origine nigeriana già vincitrice di tre Emmy per i suoi ruoli in Orange is the New Black e Mrs America, nel salutare con apprezzamento la scelta di mostrare una donna di colore nelle vesti autorevoli, rassicuranti e competenti di una famosa psicoterapeuta di Los Angeles. Il cinema, inteso in senso lato anche come televisione streaming e insomma come settima arte, può fare moltissimo nel creare nuovi modelli positivi e abbatterne vecchi negativi, per cui evviva la dottoressa Taylor al posto del compassato dottor Weston, e largo ai giovani.
La protagonista per In Treatment è fondamentale: è il ruolo che dà il tono a tutto l’insieme, che stabilisce il ‘mood’ della serie, l’orientamento e lo stile narrativo. Ovviamente presente in tutte le sedute nelle vesti di terapeuta, è lei stessa la paziente una volta a settimana. In questa quarta stagione, la dottoressa Taylor si confronta con la sua vecchia mentore e amica, Rita, che cerca di placare i suoi tormenti e rimettere in carreggiata una vita privata provata da dolori, lutti e insoddisfazioni personali. Da consolatrice, la dottoressa passa a consolata, come nelle altre stagioni dando una dimensione umana e fragile al medico che, in veste di terapeuta, sembra non avere tentennamenti e insicurezze.
Questo è il valore di In Treatment, la ‘pretesa’ di smascherare l’uomo, anzi la donna, dietro lo specialista, togliendole parte della sua autorevolezza ma restituendole nello stesso tempo il grande valore della comprensione e dell’empatia umana, che trasforma un dottore bravo in un buon dottore.
Ma contano anche molto le figure dei pazienti, anche loro con le loro brave storie aggiornate ai drammi della modernità aggravati dallo stress della pandemia e dei vari allucinanti lockdown subiti.
C’è Eladio, un giovane infermiere a domicilio che ha rapporti ambigui e morbosi col ragazzo invalido di cui si occupa e soprattutto con i suoi genitori.
C’è Colin, un milionario nei guai con la legge costretto suo malgrado a quattro sedute di terapia, che porta una ventata di mistero ma anche di vivacità nello studio della dottoressa Taylor.
C’è Laila, giovanissima imprenditrice che dovrebbe ereditare l’azienda di famiglia ma che è vittima delle aspettative altissime della matriarca e di una società che ti vuole sempre più performante, qualsiasi cosa ciò voglia dire in realtà.
Sei settimane di sedute per ogni paziente, più l’incontro di Brooke con la sua amica Rita, per un totale di 24 episodi, un numero altissimo in un periodo in cui prevale la ‘miniserialità’. Un appuntamento estivo per i tanti che si interessano di psicanalisi, ma anche per chi apprezza un buon dramma all’americana, con i classici momenti topici, i disvelamenti ricchi di patos, e l’immedesimazione nei problemi altrui che, alla fine e per fortuna, sono sempre più gravi dei nostri. Consigliato vivamente a chi voglia svecchiare il proprio immaginario sulle sedute terapeutiche fatte con un anziano signore calvo e col pizzetto come il buon vecchio Sigmund.