La serie antologica ideata da Charlie Brooker è tornata con cinque nuovi episodi a descrivere i mondi nascosti e perturbanti che sono contenuti dentro l’instabile mondo in cui ufficialmente viviamo.

Una serie ‘ai confini della realtà’ che fin dagli esordi su Channel 4 nel 2011 – il trasferimento alla scuderia Netflix è del 2016 –  individua passaggi segreti nelle increspature della realtà e immagina le eventualità apocalittiche, ma plausibili, che possono generarsi dallo scontro fra l’inarginabile avanzamento tecnologico e le pulsioni umane. Le quali, oltre ad essere altrettanto inarginabili, possono essere piuttosto malefiche.

In un misto di generi: dal thriller alla fantascienza, dal political drama all’horror, con vicende incassate in scenari distopici o pennellate con la tinta del soprannaturale, Black Mirror colloca le sue storie autoconclusive nella cuspide del paradosso, dove i luccicanti e illusori miraggi del progresso rivelano il loro volto più macabro, la ripercussione angosciante.

La stagione numero 6, tuttavia, si distingue per essere la meno ‘blackmirroriana’. La scrematura degli elementi fantascientifici è evidente, mentre rimane invariata nel manifesto di Charlie Brooker l’esplorazione accanita nei fondali della psiche. Al pari della tecnologia, la nostra mente non è in possesso di una solida soglia di sbarramento che la separi dalla morbosa malvagità.

Si dice che questa stagione abbia spaccato lo zoccolo duro dei fan, suscitando le famigerate perplessità di prammatica, ma noi sappiamo che la perplessità dell’odierno spettatore/fruitore, saccente e smaliziato, è solamente un’altra forma di perversione. A cui teniamo moltissimo, perché ci fa sentire meno soli e perché ‘rispecchia’ i cupi paradossi con cui Black Mirror sa entrare in sintonia. E abbiamo stilato una classifica degli episodi, elencandoli dal meno riuscito al ‘the best’.

Ep. 1 – Joan è terribile                             Voto    **

Una giovane donna scopre che la piattaforma Streamberry sta mandando in onda una serie tv che replica esattamente la sua vita, giorno per giorno al tempo presente, ma con Salma Hayek come protagonista. La famosa attrice ispanica è a sua volta l’ignara protagonista di una serie in cui viene interpretata da Cate Blanchett. Computer quantistici, diritti di immagine, clausole contrattuali e il cellulare come spia suprema della privacy per un mortifero incubo tecnologico in pieno stile Black Mirror, che purtroppo diluisce la sua forza dirompente nelle troppe meta-matrioske ma calca con la matita rossa il punto da cui si propagano le infinite rette parallele dell’intelligenza artificiale. Con disperata ironia.

Ep. 5 – Demon 79                                   Voto    **1/2

Gran Bretagna, 1979: una mite e solitaria commessa di origini indiane dalla vita sciapa evoca accidentalmente Gaap, un gigionesco demone contenuto in un talismano macchiato di sangue, che la intima di uccidere tre persone entro tre giorni se vuole evitare l’apocalisse nucleare. E la mansueta commessa, all’inizio riluttante, scopre che dietro la sua anima candida si celano raptus omicidi. Sempre che il demone sia autentico e stia dicendo la verità. Un thriller soprannaturale che cita apertamente “La zona morta” di Stephen King. La cifra puramente fantascientifica è assente e vista la lunghezza di 74 minuti potrebbe essere un gustoso ‘standalone’ slegato dall’epopea blackmirroriana, di cui però si riconoscono gli estremizzanti canoni dark e l’umorismo serpeggiante. E Gaap, con il look impellicciato –  a metà tra un pappone dei bassifondi e una star della disco music – è il demone più cool di sempre.

 

Ep. 4 – Mazey Day                              Voto    ***

È l’episodio che contiene il colpo di scena più repentino. Nel climax della vicenda, cambia completamente pelle per diventare un horror, accompagnato dall’incalzante melodia di “Supermassive Black Hole” dei Muse. In 42 minuti racconta la storia di una paparazza sulle tracce di un’attrice fuggita dal set di un film ambientato tra i boschi della Repubblica Ceca dopo aver investito una persona. La fame nervosa con cui la società dello spettacolo provoca l’accanimento molesto sulla privacy delle celebrità esplode in un finale terrificante che piacerà ai fan di John Landis.

Ep. 2 – Loch Henry                                 Voto    *** ½

In un villaggio sperduto nella brughiera scozzese, una coppia di aspiranti film-maker decide di raccontare in un documentario la storia di un dimenticato serial killer del luogo, autore di efferati omicidi negli anni 90, filmando anche il suo covo adibito alle torture. Le prove delle atroci sevizie si trovano nel posto più insospettabile, così come sono insospettabili i complici dello psicopatico assassino. Sospinto da un senso di terrore crescente, “Loch Henry” appartiene alla nutrita schiera degli horror ‘found footage’ e in esso rifulge la destrezza narrativa di Charlie Brooker. La depravazione umana non dipende dalle diavolerie digitali ma può essere registrata a futura memoria anche nelle ormai sorpassate e rudimentali VHS. L’inquadratura finale spezza anche il più imperturbabile dei cuori.

Ep. 3 Beyond the Sea                           Voto    *****

In una realtà alternativa degli anni 60, ma tecnologicamente più avanzata rispetto ai nostri anni venti del XXI secolo, due astronauti sono impegnati in una lunga missione spaziale, ma possono tornare a casa quando vogliono riversando la loro coscienza nelle repliche di loro stessi: due androidi a loro immagine e somiglianza che vivono con le rispettive famiglie. Basta infilare una pennetta in uno slot e addormentarsi in postazione. Una strage che ricorda le gesta di Charles Manson è la miccia che stravolge la routine di questa originale odissea nello spazio portando le repliche e le coscienze dei due uomini verso un punto di non ritorno. 80 minuti di fantascienza d’antan, che misura la temperatura con il termometro dello Stanley Kubrick di “2001” e accastasta rovelli filosofici come meteoriti che piovono dallo spazio. “Beyond the Sea” è Black Mirror con un paio di punti esclamativi davanti, per tematiche trattate e per il clima sinistro che assorbe ogni frame. In ultimo, ma non ultimi: Josh Hartnett e soprattutto Aaron Paul forniscono una prova maiuscola.

 

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