Con “Colpo di fortuna”, Woody Allen raggiunge lo zenit della sua esperienza nel Vecchio Continente, girando,- per la prima volta nella sua smisurata carriera – un film parlato interamente in francese, con il quale festeggia il traguardo dei 50 lungometraggi. Un altro girotondo sentimentale in cui è il Caso – il più imparziale degli arbitri, con le sue giravolte imprevedibili e gli epiloghi paradossali – a muovere i protagonisti sulla scacchiera. Deve essere così che il grande vecchio del cinema immagina la vita, con le pedine all’inseguimento della felicità. Una mera illusione poiché il libero arbitrio patisce le incongruenze del fato.
Un rapporto di amore cinefilo e culturale, quello tra il cineasta newyorkese e l’Europa. Lui, che della Grande Mela, è stato ed è il romantico esaltatore, specie di quella upper class ingorda e mai sazia di specifici riferimenti intellettuali, galleggianti in uno stagno di acidità e vezzi, che Allen ha bastonato sovente pur rispecchiandosi in quelle nevrosi che ti imbrigliano una volta e poi non ti lasciano mai più.
Dell’ammirazione per gli autori partoriti da questa parte del mappamondo, fra il Bel Paese di Fellini con i suoi inserti onirici e la gelida Scandinavia di Bergman con gli assordanti silenzi di Dio, Allen, ancora oggi, non fa mistero. Questione di conformità di vedute ma anche di libertà creativa, lontano dal fracasso della giocattolaia Hollywood. Come gli europei non fanno mistero del corrisposto amore per la pacata e arguta ironia esistenziale alleniana, che prorompe nella comicità con le sue illuminanti punchline: minuscoli congegni a orologeria che racchiudono in un istante un’intera filosofia di vita condivisa.
Si capta dentro le sale gremite, già dai titoli di testa vintage – in caratteri bianchi su sfondo nero, che sembrano saltellare al ritmo di una baldanzosa melodia jazz – quella deliziosa tonalità delle umane emozioni, così difficile da cogliere: lo squisito piacere della nostalgia per qualcosa che ancora non hai finito di vivere. Anzi, nemmeno hai cominciato. ‘Scritto e diretto da Woody Allen’, la scritta sullo schermo che precede la prima inquadratura, è un marchio di quella fabbrica che questa nostalgia la plasma. ‘Written and Directed by Woody Allen’ è una carezza sul cuore, la password che apre il mondo in cui tutti noi vorremmo gironzolare almeno per un po’.
Woody Allen, made in Europe
Tutti i film di Woody Allen girati in Europa, dal peggiore al migliore.
TO ROME WITH LOVE VOTO *
(Sky, Now, Infinity)
Leviamoci il dente. “To Rome with Love” è il peggior film di Woody Allen e, per chi scrive, l’unico che non raggiunge la sufficienza. Una ferita che brucia perché è stato girato nel nostro paese che purtroppo sembra immortalato da dentro un negozio di souvenir e zeppo di stereotipi da cartolina. Una commedia a episodi, debole e fuori fuoco, che procede a singhiozzi. L’ispirazione latita, lasciando più di un rimpianto per la presenza comunque di spunti narrativi interessanti, come il tenore in grado di cantare solamente sotto la doccia. Per ora è l’ultimo film da lui diretto in cui compare anche come attore.
RIFKIN’S FESTIVAL VOTO **
(Infinity)
Dalla Spagna, riflessioni mordaci sull’amore, l’arte e la vita. Pane quotidiano per Woody Allen che sceglie come suo alter ego William Shawn (che esordì al cinema in “Manhattan”) a cui fa interpretare un professore di cinema in crisi esistenziale, accompagnatore della vanesia moglie al Festival di San Sebastian. La donna si invaghisce di un giovane attore, lui entra in confidenza con una dottoressa della città, mentre viene tormentato da sogni e incubi che solo i cinefili fanno. “Rifkin’s Festival” (Qui la nostra recensione), una commedia vitale e ‘tongue in cheek’, è sicuramente un’opera minore ma il sigillo alleniano è inconfondibile. Il ritmo non fa una grinza e le trovate ricordano “Harry a pezzi” che aveva però tutta un’altra sostanza.
VICKY CRISTINA BARCELONA VOTO **1/2
(Rakuten, Amazon)
Quadrilatero amoroso nella città catalana con gita a Oviedo per Javier Bardem, fascinoso pittore alle prese con due turiste americane, Scarlett Johansson e Rebecca Hall. Due prede da sedurre con la padronanza e il savoir faire dell’amante focoso. Ma nel ginepraio spunta soprattutto la nevrastenica ex moglie del artista, una Penelope Cruz in versione almodovariana. Woody Allen aziona una frenetica giostra dei sentimenti, attratto dai retaggi a rischio stereotipo della disinibita cultura latina e si diverte a registrare gli insondabili spostamenti del cuore e dell’attrazione, precari fino a prova contraria secondo il Woody Allen pensiero. L’erotismo è invisibile ma si taglia col coltello. Penelope Cruz sovrasta di cento spanne il resto del cast e vince l’Oscar.
SOGNI E DELITTI VOTO ** 1/2
(Chili, Google Play, Rakuten, Apple Tv)
I temi della colpa e del castigo sono un altro assillo per il ‘Dostoevskijano’ Woody Allen, già affrontati in precedenza, nei capolavori “Crimini e misfatti” e “Match Point”, e successivamente in “Irrational Man”. In “Sogni e delitti”, sotto il plumbeo cielo inglese, i fratelli proletari Colin Farrell e Ewan McGregor, bisognosi di denaro, si piegano al ricatto di un diabolico zio che in cambio chiede ai nipoti di commettere un omicidio. Woody Allen scappa dalla sua amata/odiata borghesia per farsi un giro nei sobborghi, riduce il registro ironico e vira verso un dramma scarno e pessimista che culmina in un tragico finale in barca.
INCONTRERAI L’UOMO DEI TUOI SOGNI VOTO ***
(Sky, Now, Infinity)
Un uomo che non accetta la vecchiaia si separa per sposare una escort capricciosa. Sua moglie reagisce facendosi plagiare da una veggente; la figlia, destabilizzata dal desiderio di maternità, si prende una cotta per il datore di lavoro, mentre il marito – scrittore in crisi creativa – si appropria del manoscritto di un amico in coma. Woody Allen gioca ancora con il Caso, inserisce elementi magici e scorrazza per le vie londinesi. Stavolta divide il suo alter ego tra Anthony Hopkins e Josh Brolin ragionando con leggerezza sulla crisi matrimoniale e sul blocco creativo che per Allen corrisponde quasi sempre a un’impasse esistenziale più profonda.
SCOOP VOTO ***
(Sky, Now, Infinity)
Una commedia dai risvolti thriller con inserimento di elementi fantastici che Woody Allen dirige e interpreta insieme alla sua musa dell’epoca, Scarlett Johansson, un anno dopo “Match Point”. Una soffiata proveniente addirittura dall’aldilà convince uno scalcinato mago e un’intraprendente giornalista ad intrufolarsi nell’alta società londinese per smascherare un pericoloso assassino (Hugh Jackman). Spontaneo e pieno di guizzi, “Scoop” dimostra l’ingegnosità con cui Allen sa mettere il giallo al servizio della commedia. Ricorda “Misterioso omicidio a Manhattan” e i duetti tra lui e Scarlett fanno uno spensierato verso a quelli leggendari con Diane Keaton.
MIDNIGHT IN PARIS VOTO ****
(Sky, Now, Infinity)
Miracolo a Parigi. Passeggiare di notte lungo la Senna può catapultarti indietro nel tempo. È quanto succede a Gil (Owen Wilson) scrittore americano in vacanza all’ombra della Torre Eiffel, che sale a bordo di un’auto d’epoca e si ritrova negli anni 20, a conversare di arte e letteratura in una comitiva di mostri sacri: Hemingway, Picasso, Luis Bunuel (a cui suggerisce la trama de “L’angelo sterminatore”), Francis Scott Fitzgerald con la spregiudicata Zelda, Gertrude Stein e Salvador Dalì. Nella scelta del protagonista, Allen cala di nuovo la carta dello scrittore, perché un artista ha una predisposizione ad incagliarsi nelle sue nevrosi. Ma anche perché l’arte offre un esaltante rifugio dove si possono rivitalizzare le utopie, rendere la felicità meno illusoria e le nevrosi più malleabili. Woody Allen vince l’Oscar per la migliore sceneggiatura, il quarto della sua carriera.
MATCH POINT VOTO ****1/2
(Sky, Now, Infinity)
“Ci sono momenti in una partita in cui la palla colpisce il nastro. Con un po’ di fortuna lo oltrepassa e allora si vince. Oppure no, e allora si perde”. Così recita la voce off mentre la pallina si impenna e si blocca in un frame: è l’inquadratura iniziale di “Match Point” che si ricongiungerà alla sequenza finale, in un’ingegnosa chiusura ad anello dove è l’impunità del killer a prendere il posto della vittoria. In mezzo un noir in cui il termometro segna sempre la temperatura giusta. Scarlett Johansson è una femme fatale sui generis: sia carnefice, con il suo corpo dalla sensualità grondante che seduce e corrompe il protocollo; sia vittima, perché aliena e fragile di fronte al classismo dell’aristocrazia londinese, perdente destinata all’eterno oblio per mano del suo amante Chris (Jonathan Rhys Meyers), il maestro di tennis a cui un matrimonio apre le porte della bambagia, ma i suoi principi morali e la sua mente, oscuro e impenetrabile marchingegno, si perdono nella passione per Nola/Scarlett. Woody Allen risponde alla casualità del destino con un paradosso: un film sull’incontrollabilità del fato in cui tutto è sotto controllo, perché nell’arte si può, e la tenuta drammaturgica è priva di spifferi. Dio e la morale sono lontanissimi, mentre il Dostoevskij di “Delitto e castigo” è lì a un passo. E il Caso sostituisce la redenzione.