Su Netflix la commedia sentimentale di ‘soft-fantascienza’ di Alessandro Aronadio con Edoardo Leo è uno dei film più visti: una riflessione garbata sull’impiego e lo spreco del tempo e del senso, che si salva dalla banalità grazie a un doppiofondo oscuro quasi disperante

Dante (Edoardo Leo) è un uomo molto impegnato al lavoro e abbastanza innamorato della sua compagna, donna creativa e fantasiosa con la quale si diverte ma alla quale dedica i rimasugli del suo tempo. Già, perché Dante lavora sodo, si deve occupare del padre che sta andando via di testa e ha sempre così tanti ‘impicci’ che finisce con l’essere costantemente in ritardo su tutto. Arriva tardi anche alla propria festa (a sorpresa) per i 40 anni e, come gli succede sempre, comunque non si gode nulla. Troppe cose da fare, poco tempo per farle, nessuna capacità di gustarsi le emozioni che la vita potrebbe – teoricamente – regalare. La mattina dopo la festa, Dante si rende conto, con una specie di orrore passivo e annichilito, che è di nuovo la sua festa, ma stavolta compie 41 anni. Strabiliato, impaurito, sgomento, Dante vede che Alice è incinta: è passato un anno, e lui non ricorda assolutamente niente di quello che è successo. Non ha memoria di nient’altro che della festa del giorno prima, dell’anno prima.
Questo è il trucco narrativo che dimostra in modo plastico-metaforico la propensione di Dante a ‘sprecare’ il tempo, a viverlo in modo automatico e privo di senso: un uomo che non sa assaporare la vita viene privato dei sapori della vita, e vede di giorno in giorno, ovvero di anno in anno, scorrere davanti a sé i risultati delle sue azioni, senza ricordare di aver compiuto quelle azioni.
Dante, anche qui con metafora piuttosto scoperta, inizia un viaggio all’inferno che non ha nessuno strumento per governare.

Passano gli anni mentre per Dante passano solo i giorni: ha una figlia, una promozione, una crisi di coppia, suo padre peggiora, il suo più caro amico sta male, e della sua situazione assurda non parla con nessuno anche se tutti per un giorno all’anno vedono che si comporta in modo bizzarro, perché sa che nessuno gli crederebbe (solo un accenno, ma un’unica volta, proprio al suo migliore amico, un professore cinico e scombinato troppo entusiasta degli alcolici, interpretato con convinzione sorniona da Mario Sgueglia e personaggio che entra nella parte alta della nostra classifica di  ‘non-protagonisti-ma-irrinunciabili’ preferiti).
Divertente scoprire ad ogni risveglio di Dante, il giorno del suo compleanno, cosa altro è successo durante l’anno che ha inevitabilmente perso: è una commedia, e il compito di Edoardo Leo è rendere esilarante la condizione passiva del suo personaggio, che è evidentemente uno stronzo durante tutto l’anno, ma sta diventando sempre più critico verso sé stesso grazie alla consapevolezza di quello che sta perdendo. La consapevolezza che si può vivere senza consapevolezza, cioè, e quindi peccando contro l’unica cosa che possediamo davvero: il tempo.
Le gag del personaggio che vive una realtà diversa da tutti gli altri sono effettivamente riuscite, e la riflessione sottostante oggettivamente molto scoperta ma a suo modo efficace: non sprechiamo il tempo perché nessuno sa quanto ne abbiamo, dedichiamolo piuttosto a quello che conta davvero, cioè i legami d’amore amicizia, che sono il nerbo della vita di ognuno. Pedagogico, esplicito, vagamente scontato, questo messaggio passa e piace, dato che il film è stato per un momento il più visto a livello internazionale sulla piattaforma.

Ma la vera qualità di “Era ora” non è né la sua capacità di divertire né il messaggio, appunto, di sapore retoricamente corretto; è piuttosto la sensazione straniante di disagio che la condizione di Dante produce su chi guarda. Simile in questo a tanti racconti fantastici sul tempo che si incasina, primo tra tutti il cult con Bill Murray “Ricomincio da capo”, dietro il sorriso si intravede lo sgomento. L’ineluttabilità di quei risvegli mattutini in cui il povero padre-marito-figlio-amante-amico sa che ha perso un altro anno di vita diventa via via più intollerabile. Non sai se avrà i baffi, o la barba, o la pancia, e non sai se Alice c’è, lo ha lasciato, il padre è ancora vivo, se Valerio è guarito; quello che sai è che lui non può farci niente, è vittima di un incantesimo e qualunque decisione prenda ha comunque perso un altro anno intero, si sia comportato bene, male o così così durante quell’anno. Il tempo passa, è una gabbia, e tu puoi solo subire: una metafora della vita adulta che, sorridendo e ‘cazzeggiando’, ti schiaccia e ti annichilisce.
E’ così, lo è per tutti: il tempo passa e niente lo ferma, si cresce e si invecchia per impresentabilità dell’alternativa, come si sa, e gli anni che corrono come se fossero giorni li conosciamo tutti, e a tutti capita di dire ‘ma è già di nuovo il mio compleanno?’ e scoprire quante rughe in meno avevamo l’anno scorso, dieci anni fa, quando abbiamo compiuto venti, trent’anni.

Commedia garbata e romantica, “Era ora” cova dunque nel suo fondo nucleare una riflessione amara di inevitabilità del destino, che la vivifica e la rende malignamente sincera: tempus fugit, e se non impari a goderti ogni istante, a far tesoro dei fatti e dei sentimenti, non solo il tempo sarà volato, ma sarà passato senza aver avuto un minimo di senso.

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