Con “Il sol dell’avvenire”, Nanni Moretti ragiona su se stesso, sul cinema, sulle utopie, sullo smarrimento, in una sorta di atto di resistenza nei confronti del tempo e del mondo, i quali proseguono inafferrabili la loro corsa. Un altro capitolo nella filmografia di un regista centrale nella storia del cinema italiano, che sin dagli esordi dialoga con il pubblico interrogando il contesto sociale. Proviamo a riavvolgere il nastro, recuperando i suoi cinque film più recenti e un documentario, tutti disponibili in streaming. Le ultime pagine di un ‘Caro Diario’ cominciato quasi 50 anni fa.

TRE PIANI (2021)

Raiplay

Con il primo film di tratto da una storia altrui – l’omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo – Moretti accantona i tratti autobiografici che da sempre solcano il viso del suo cinema per lasciare spazio a un film corale in cui il dolore contamina le trame quotidiane di un condominio della Roma bene. Tre piani, tre storie parallele che circolano intorno al tema ricorrente del rapporto tra genitori e figli, raccontato in modo scomodo e corrosivo, dentro una gabbia di sentimenti opprimenti. Al piano terra, un padre (Riccardo Scamarcio) sviluppa un’ossessione per ciò che potrebbe essere successo fra sua figlia e il vicino di casa affetto da demenza senile. Nel piano intermedio, una donna incinta (Alba Rohrwacher) con il marito in viaggio, combatte una guerra contro la solitudine e la follia. Infine il figlio di una coppia di giudici (Nanni Moretti e Margherita Buy) commette un omicidio stradale in stato di ebbrezza innescando la reazione inflessibile del padre e una crisi coniugale tra i suoi genitori.

 

MIA MADRE (2015)

Disney

Margherita Buy e Giulia Lazzarini, entrambe premiate con il David di Donatello, affiancano Nanni Moretti e John Turturro in questa ricostruzione misurata di un lutto e del naufragio della vita privata di una regista. Nanni Moretti, che interpreta il fratello della protagonista, si mette in posizione defilata e lascia alla Buy il ruolo del suo alter ego. A lei lascia il flusso di pensieri, sogni, divagazioni che appartengono all’incessante dialogo che ognuno di noi intrattiene con se stesso, specialmente nei cicli di realtà ad altissimo rischio emotivo, ma messo in scena a velocità ridotta e senza i ricatti sentimentali che dobbiamo subire nei centinaia di altri film sull’argomento, Un’opera sulle fratture interiori e sul tentativo, obbligatorio perché assolutamente umano, di ricomporle. E sulla difficoltà sproporzionata di leggere il mondo in cui si vive e di fare conto delle emozioni più viscerali, anche da parte di chi – la regista del film – è per vocazione il padrone della narrazione.

HABEMUS PAPAM (2011)

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Appena eletto dal Conclave, il nuovo Pontefice (Michel Piccoli) si sente schiacciato dal panico e rifiuta il peso di quella responsabilità, lasciando il mondo cattolico nell’incertezza. Uno psicanalista (Nanni Moretti) viene convocato in Vaticano per aiutarlo a inquadrare i motivi della rinuncia, ma il Papa fugge, dileguandosi tra le vie di Roma, dove si imbatte in una compagnia teatrale il cui attore ha perso la testa impedendo alla recita di cominciare. Uno spunto narrativo geniale per una riflessione sul ruolo della messinscena. La Chiesa si ritrova senza il suo pastore, uno psicanalista senza il paziente e una commedia teatrale senza il protagonista. La religione, la psicanalisi, il teatro: in tre rifugi della società odierna dove la realtà viene intercettata e depurata – a favore del fedele, del paziente o dello spettatore – la normale liturgia viene spezzata. Moretti rimanda al pubblico un dubbio enorme: la nostra capacità di saper trovare un senso quando chi è delegato a fornircelo si esonera dal farlo.

 

IL CAIMANO (2006)

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Un produttore di B-movies (Silvio Orlando) ormai sull’orlo della bancarotta e con una vita privata parecchio incasinata, si lascia convincere da una regista esordiente (Jasmine Trinca) a girare un film su Silvio Berlusconi. Dovrebbe essere un film di denuncia militante, ma nessuno vuole interpretare un ruolo così delicato. Ne girerà solamente una sequenza, paurosa e apocalittica. Moretti – che si ritaglia uno dei tre volti che impersonano Berlusconi – rovista in un ingranaggio inceppato, a causa del quale risulta impossibile trovare un linguaggio lineare (e un volto, appunto) per ritrarre l’Italia dell’epoca: un paese a reti unificate in cui la dialettica fra gli intransigenti detrattori di Berlusconi e i suoi sostenitori a prescindere non prevede una sintesi. Tra il grigiore politico e culturale da una parte e la rilucente rappresentazione televisiva dall’altra. Moretti non cade nella trappola del comizio: “Il caimano” non è un film su Berlusconi, ma su un impedimento, su una repulsione creativa inspiegabile che ha portato all’incapacità di inquadrare un soggetto al presente quando la sua sedimentazione è ancora in corso. Una priorità procrastinata.  Per certi versi un unicum nel paese che ha espresso il Neorealismo e la Commedia all’Italiana, dove il cinema è sempre stato sul pezzo. Insomma, non si può raccontare Berlusconi prendendolo di petto (ci avrebbe provato Paolo Sorrentino con i due capitoli di “Loro”, alcuni anni dopo). L’Italia di Berlusconi è qui e lì, dal 1994 fino al 2006 e poi ancora oltre: un po’ rivoltosa, un po’ addomesticata e ‘donabbondiana’. E si racconta da sola perché, citando una frase nel film, “Chi sa sa, e chi non sa non vuole sapere”.

 

LA STANZA DEL FIGLIO (2001)

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La palma d’oro ricevuta a Cannes celebra simbolicamente il passaggio di Nanni Moretti da autarchico ad autore. Nel raccontare come la morte di un figlio adolescente mandi in frantumi la vita di una famiglia, Moretti abbandona i tic, la nutella, le idiosincrasie e i narcisismi, il sapiente percorso che ne aveva tratteggiato l’identikit, il ‘Morettismo’ insomma, per comporre un’opera geometrica e rigorosa. La sua opera spartiacque. In cui anche la regia è più matura e raffinata, nel suo lasciare spazio ai personaggi, osservandoli caricarsi di dolore. Ma mentre il dolore dei pazienti – Moretti interpreta uno psicanalista – può essere governabile, teorizzato e messo a misura come nelle pagine di un libro accademico, il dolore per la morte improvvisa di un figlio stravolge il territorio di indagine, lo sottrae ai meccanismi del controllo, si fa bestia vorace che colpisce a caso. Una bestia da cui bisogna difendersi, con una reazione, una risposta. “La stanza del figlio” è, facendo una brutale sintesi, una complessa ricognizione alla ricerca di questa risposta, di un filo d’Arianna. Così si chiama la fidanzata segreta del figlio scomparso, che fornirà indirettamente ai protagonisti una possibile via d’uscita dal labirinto della disgregazione.

 

SANTIAGO, ITALIA (2018)

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Nel 2018 Nanni Moretti si riconfronta con il documentario e si aggiudica il David di Donatello narrando i mesi successivi al colpo di stato di Augusto Pinochet, avvenuto nel 1973, che mise fine al sogno democratico di Salvador Allende. Moretti ricostruisce il clima che portò all’elezione di Allende e al successivo scatenamento delle forze armate del regime. Ai filmati d’archivio si aggiungono le interviste sia a coloro che riuscirono ad evitare le fucilazioni sommarie, sia ai militari di Pinochet, ancora imprigionati nelle carceri cilene con l’accusa di aver torturato e ucciso gli oppositori del dittatore. Soprattutto viene sottolineato il ruolo rivestito all’epoca dall’ambasciata italiana in Cile, che diede rifugio a centinaia di richiedenti asilo, salvando di fatto le loro vite per poi accoglierli nel nostro paese, lasciando che si integrassero nella nostra società. Un documentario cucito con il filo conduttore della memoria: per ripercorrere un evento tragico ed emblematico del XX secolo, e per ricordare l’esistenza di un’Italia solidale, che offriva vicinanza politica ed empatia agli esuli in fuga dalle mostruosità di una tirannia sanguinaria.

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