IL MAESTRO CI GUARDA

La donna alla finestra                                         VOTO 5,5

(Netflix)    

LA VISIONE DI “LA DONNA ALLA FINESTRA”, UNO DEI FAMIGERATI ‘TITOLI DEL MOMENTO’ CHE SGORGANO DALL’ALGORITMO DI NETFLIX, AVVALORA QUANTO SOSTIENE, PARAFRASANDO, IL CINEASTA FRANCESE JEAN-LUC GODARD: “SE DEVO VEDERE UN FILM BRUTTO, PREFERISCO CHE SIA AMERICANO”

Questione di fiocchi e orpelli. E di possibilità economiche.

Il cast del film di Joe Wright (dietro alla macchina da presa di “Espiazione” e “L’ora più buia”: film riusciti e acclamati) sciorina nomi del calibro di Gary Oldman, Jennifer Jason Leigh e Julianne Moore che circondano la donna del titolo, interpretata da Amy Adams, in versione casalinga sciatta e fuori forma, padrona assoluta dello sguardo di questo thriller psicologico – allucinato ma represso, perturbante ma che non perturba.

La sceneggiatura, che porta la firma del Premio Pulitzer Tracy Letts, è un adattamento del solido romanzo di A.J, Finn, mentre la fotografia è farina del sacco di Bruno Delbonnel, geniaccio francese di ombre e grandangoli, 5 volte candidato agli Oscar e premiato a Cannes per la sua eccellenza artistica.

E poi c’è Hitchcock. Con il debito palese al maestro del brivido esplicitato già nella sequenza di apertura, quando l’inquadratura de “La finestra sul cortile” campeggia su uno schermo della casa di Amy Adams/Anna Fox, una donna sofferente di agorafobia, confinata insieme al suo gatto in un appartamento di Manhattan dove ingurgita alcol e pillole, riceve il suo psicanalista, si nutre di vecchi film hollywoodiani e soprattutto spia le vite dei vicini, specie i nuovi arrivati, i Russell. Proprio un sanguinoso episodio avvenuto nel salotto dei Russell fa esplodere il conflitto narrativo del film, sprigionando i fantasmi dalla mente di Anna e trasportando lo spettatore in quella zona da brivido in bilico fra sospensione dell’incredulità, immedesimazione, e fame di rovesci e colpi di scena. Lo scarto fra “La donna alla finestra” e “La finestra sul cortile” è che nel film di Wright i vicini visitano e irrompono nella casa di Anna, già prima dell’evento fatale. E che il passato di Anna giustifica la sua salute mentale e la sua scelta di esiliarsi, a differenza di quanto avveniva nel capolavoro hitchcockiano, dove l’esilio forzato era dovuto a una gamba ingessata. Inoltre, l’insistenza di Anna nel suo voyeurismo è limitata ai suddetti Russell e il film finisce per focalizzarsi su una donna in trattative con la pazzia.

Ma di rimandi a Hitchcock ce ne sono a bizzeffe: riverberi di “La donna che visse due volte”, la citazione anche questa esplicita, di “Io ti salverò”, il ruolo del telefono, la macchina fotografica, il voyeur còlto in flagrante e messo alle corde. Tutto derivativo, compresi i rimandi all’altrettanto derivativo “Omicidio a luci rosse” di Brian De Palma che non ha mai nascosto la sua copiosa e copiona ammirazione per il maestro inglese. Nel pacchetto potremmo inserire anche “Le verità nascoste” di Robert Zemeckis.

“La donna alla finestra” vorrebbe partecipare alla festa dei film sul vouyerismo, che rappresentano – nei casi più riusciti – una riflessione arguta e profonda sul senso stesso della settima arte e del morboso rapporto fra spettatore e realtà rappresentata, ma non esce mai dai confini del cinema di genere, pulito e infiocchettato fino all’ultimo fotogramma. Quindi senza nemmeno l’audacia di uno sprint inaspettato, di una grezza deviazione dalla consuetudine. E con il peccato mortale di una suspense annacquata.

Non fa leva cioè, sul palese modello di riferimento, per avventurarsi altrove, ma sceglie di procedere in orizzontale, stereotipandosi nel suo incedere lungo una trama esile anche per il meno smaliziato degli spettatori e per il meno esigente dei voyeur.

Non scava mai in verticale, si accontenta di un flashback telefonato e di qualche informazione di prammatica sui personaggi, disegnati con tratto sbiadito. Non si cala nemmeno nelle viscere gustose dell’indagine. Abbiamo giusto un paio di ricerche su google, qualche telefonata, il poliziotto bonario con la collega cattiva, e personaggi secondari dall’ambiguità poco fantasiosa. Il film si avvita invece su se stesso instillando i dubbi consueti, cari ai thriller psicologici, con il solo intento di dissiparli con la tradizionale inquadratura rivelatoria, prologo di un finale action che ne mina ancora di più la credibilità.

Ma Godard ha ragione. I film americani, anche quelli brutti e caotici, risultano meno indigesti se comunque puoi goderti la solita impeccabile Amy Adams, se Gary Oldman e Julianne Moore in due scene in croce ti fanno sentire le solide fondamenta del mestiere d’attore e le ramificate qualità in serbo a Hollywood. Se regia, fotografia e scenografia sanno danzare in sintonia il gran ballo dell’imitazione e della ristampa. Una bella coccarda che fa la sua figura in cima a una scatola che contiene un regalo deludente.

L’ALGORITMO UMANO CONSIGLIA

Breve itinerario fra i remake dei film di Alfred Hitchcock visibili on demand.

 

Psycho (1998) – Di Gus Van Sant

(Rakuten, Chili, Apple tv, Google Play)

Più che un remake, un vero e proprio clone ma a colori. L’omaggio a Hitchcock di Gus Van Sant è un volontario calco del film del 1960, riprodotto esattamente inquadratura per inquadratura e con gli stessi tagli d montaggio. In realtà ci sono delle piccole differenze e l’inserimento di immagini subliminali che vi invitiamo a scovare, come sulla Settimana Enigmistica. Cast stiloso, con Vince Vaughn, Julianne Moore, Viggo Mortensen, William H. Macy e Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers.

 

Il mistero della signora scomparsa (1979) – Di Anthony Page

(Amazon)

Cybill Shepherd, Elliott Gould e Angela Lansbury per il remake di “La signora scompare” che Hithcock realizzò nel 1938. Invece che i Balcani, il treno attraversa la Baviera e… no:  la fusione fra intrigo, mistero e rimandi alla commedia sofisticata tinta di giallo non ha lo stesso impatto del prototipo.

 

Delitto perfetto (1998) – Di Andrew Davis

(Netflix)

Remake di “Il delitto perfetto” datato 1954, misura il perimetro di un triangolo amoroso a cui angoli si trovano Michael Douglas, Gwyneth Paltrow e Viggo Mortensen. Una New York patinata sostituisce Londra e una specie di normalizzazione della pulsione prende il posto della memorabile suspense di Sir Alfred. Non ce ne voglia la Paltrow ma Grace Kelly era di uno spessore elegante e divino.

 

Disturbia (2007) – di D.J. Caruso

(Chili)

Prodotto da Ivan Reitman e Steven Spielberg, non è proprio un remake de “La finestra sul cortile”, ma più un aggiornamento in chiave teen, dove il teenager è Shia La Beouf, agli arresti domiciliari, che si impiccia troppo facendo perdere la pazienza al serial killer che gli abita di fronte.

 

Getta la mamma dal treno (1987) – Di Danny DeVito

(Apple tv)

La goliardia cinefila ci impone di inserire in questa lista l’ammiccante black comedy che segnò il debutto alla regia di Danny DeVito, anche protagonista, al fianco di Billy Crystal, di una frenetica farsa liberamente ispirata a “Delitto per delitto” del maestro inglese e in cui un giallista accetta di eliminare la madre autoritaria di un docente universitario e quest’ultimo in cambio ucciderà la moglie dello scrittore.

 

 

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