IN STREAMING SU SKY LA PRIMA STAGIONE DELLA SERIE HBO “MADE FOR LOVE” , STORIA GROTTESCA E INQUIETANTE SULL’AMORE, IL POSSESSO E IL DESIDERIO MALATO DI CONTROLLO

Ispirata a un romanzo di Alissa Nutting del 2017, è la storia di un imprenditore ricchissimo che produce dispositivi ipertecnologici destinati a ‘ottimizzare la vita’ degli utenti e, naturalmente, la sua. Dalla fortezza virtuale in cui vive recluso con la moglie da 10 anni (nella quale il panorama cambia a seconda dell’umore, perché tanto è digitale) Byron Gogol (Billy Mangussen) annuncia di avere un nuovo dispositivo in uscita, che lui stesso e la consorte stanno per testare: si tratta di un chip da inserire nel cervello del compagno, che permetta una connessione amorosa totale, una comunicazione tra le due persone che non lasci più spazio a fraintendimenti, segreti, zone oscure e, va da sé, libero arbitrio.

La soluzione per il vero amore, dice Gogol, esiste, e sta nel sincronizzare i pensieri dei due amanti e eliminare la percentuale di rischio insita nel concetto di matrimonio. Se vi state già sentendo come afferrati alla gola dalla claustrofobia, siete perfettamente sintonizzati -pure senza chip- sullo stato d’animo della protagonista della serie, Hazel Green (Cristin Milioti, famosa per “How I Met Your Mother”), la giovane moglie di Gogol, che quando scopre che verrà usata come cavia per l’esperimento di ‘connessione estrema di coppia’, prende una decisione drastica, LA decisione drastica. Senza anticipare troppo, diciamo che la ragazza, dopo 10 anni di prigione dorata, voti agli orgasmi e analisi delle sensazioni post coito, di controllo ne ha già abbastanza, e l’idea del chip impiantato nel cervello le fa venir voglia, letteralmente, di morire.

La storia è scritta nel 2017, ma noi nel 2022 dopo anni di reclusione e lockdown e libertà diminuita, simpatizziamo dolorosamente con la povera piccola Hezel che vive un simulacro di vita a bordo piscina, e tifiamo subito per la sua fuga.
Fuga con cui inizia la prima puntata, e che viene man mano ricostruita, col più classico andirivieni di flashback e ricordi debitamente allucinati.
Hazel in ogni modo smette i panni lindi e pinti della moglie del multimiliardario più famoso del mondo (sì, gli occhiali e la pettinatura ricordano in modo chiarissimo un certo Elon Musk) e si getta nel mondo reale, sporca e spettinata, precisamente nella catapecchia puzzolente in cui vive il padre e dove lei è cresciuta. Il padre di Hazel è un soggetto vittima della stessa mania di controllo che anima suo genero, ma lui lo declina a un livello più basso, direttamente su un oggetto inanimato: Ray Romano, celebre per la sit com anni ’80 “Tutti amano Raymond”, ha la faccia tosta e l’ingenuità disarmata perfette per interpretare questo squinternato personaggio che vorrebbe essere chiave, ma che non risolve assolutamente niente per nessuno e rappresenta solo il grado zero dell’impegno amoroso e di coppia.

La fuga di Hazel nel mondo reale sarebbe l’inizio e la fine della storia, se non fosse che, sparando qua e là contro gli scagnozzi che il marito le manda dietro, la donna scopre che il famoso chip Made for Love che doveva provare con suo marito e a causa del quale è scappata, in realtà le è stato già impiantato nel cervello, e il folle Gogol, disperato per la sua fuga, comunque già può sentire i suoi pensieri, seguirla, geolocalizzarla e tampinarla come meglio crede.
Quindi la domanda è: come se la caverà Hazel? E anche: come è arrivata a condividere la vita con la grottesca parodia di un uomo che sa quello che vuole? Riuscirà a evitare un futuro in cui si debba parlare per sempre al plurale? Potrà ancora avere sia un marito che la possibilità di fantasticare sul muscoloso operaio che suda sotto la t-shirt bianca nel suo giardino?

“Amore, io te lo avevo detto e tu eri d’accordo, saremo un’unica entità vivente!”

“Lo so ma io pensavo fosse una METAFORA!”

Grottesco, paradossale, a tratti francamente comico: il tono della serie è divertente, e bilancia i temi che la percorrono e che sono gravi e seri: la pretesa di dominare l’altro, l’illusione che la tecnologia possa migliorare TUTTI gli aspetti della vita, la convinzione perversa che la perfezione sia raggiungibile (e non una meta a cui tendere continuamente), e soprattutto il bieco desiderio di annullare la volontà dell’oggetto d’amore per renderlo totalmente asservito alle esigenze della coppia. Più che serio, spaventoso, come si vede, tanto da dover essere diluito in una commedia surreale.
Intelligente ai limiti del geniale, questa idea sorregge la serie, che nel corso degli episodi però tende a sprecare un po’ della sua spinta propulsiva: qualche lentezza e indugio di troppo rischiano di appesantire la visione. Tuttavia, dato che a settembre è in arrivo la seconda stagione, l’Algoritmo Umano consiglia comunque la visione dei dieci episodi della prima, che aprono uno squarcio su un possibile universo futuro… per evitarlo come la peste, si intende.

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