SU SKY COLLECTION DAL 9 AL 24 LUGLIO – E IN STREAMING SU SKY GO E NOW TV –  È IL MESE DI SPIDER-MAN. UNA TELA COMPOSTA DA 9 CINECOMICS DEDICATI ALL’ARRAMPICAMURI, A PARTIRE DALLA TRILOGIA FIRMATA SAM RAIMI, FINO AD ARRIVARE ALLA PRIMA TV DI “SPIDER-MAN: NO WAY HOME”, PASSANDO PER UN CAPOLAVORO D’ANIMAZIONE PREMIATO CON L’OSCAR. UN’EPOPEA FATTA DI STORIE, NUMERI, DATE, PERSONAGGI, INTUIZIONI, NEMICI E UNIVERSI ALTERNATIVI. NOI ENTRIAMO CON VOI IN QUESTO MONDO: L’ALGORITMO UMANO, MORSO DA UN TRIP-ADVISOR GENETICAMENTE MODIFICATO, VI OFFRE UN RECAP ALL’INSEGNA DI UNO DEI MITI ASSOLUTI DELLA MARVEL.

 

LA TRILOGIA DI SAM RAIMI CON TOBEY MAGUIRE

I tre Cinecomic di Sam Raimi, con Tobey Maguire nel ruolo di Peter Parker alias Spider-Man, coniugano ancora il cinema d’autore con il blockbuster pop di massa. Si era nel primo decennio del nuovo secolo, ancora ignari della futura esplosione del Marvel Cinematic Universe.

Con una velocità di crociera che all’epoca poteva sembrare frenetica, ma in confronto ad oggi appare invece più ragionata, Raimi rileggeva il supereroe della Marvel a partire da un suo tarlo drammaturgico: personaggi che si ritrovano un dono per le mani e devono gestirne gli squilibri. In “Soldi sporchi” era il denaro, in “The Gift” il dono era la preveggenza della protagonista Cate Blanchett.  Nel suo Spider-Man, il dono/superpotere si infila tra i sussulti adolescenziali di un ragazzo fragile e timido.

La metamorfosi di Parker si allinea a quella di un racconto di formazione fanciullesco. Più che una genesi dell’eroe, sembra trattarsi di un apprendistato alla vita che bilancia dramma e umorismo. Raimi concentra inoltre il suo sguardo nella direzione di famiglie turbolente, vicarie e disgregate: quella dell’Uomo Ragno che cresce con gli zii (con la morte dello Zio Ben simbolo del trauma spartiacque) e la famiglia del suo coetaneo Harry Osborn, figlio del maligno, il Goblin interpretato da Willem Dafoe: un villain che vive in un appartamento lussuoso di Manhattan. Il giovane Harry nasce con le stigmate dell’ambivalenza, essendo al contempo sia ribelle nei confronti del genitore, sia sua nemesi.

Come in “Soldi Sporchi” e in “The Gift”, le responsabilità morali e le conseguenze umane del dono viaggiano sottotraccia, mentre il film scorre all’insegna di un corpo contaminato che invade con le sue traiettorie vertiginose l’ipertesto urbano di New York, aggredito fino allo spasimo dalle ragnatele organiche che schizzano dai polsi di Spider-Man. Il corpo, in perenne conflitto con la società, che fluttua, controlla l’energia e domina le leggi della fisica fa rima con un’idea di cinema che dilata le coordinate, esalta ed espande le proprie potenzialità. Lo spettacolo non è, dunque, la premessa produttiva su cui costruire una storia pretestuosa, ma è, come detto, l’effetto della contaminazione tra poetica d’autore ed estetica pop. Sam Raimi traghetta i film tratti dai fumetti dall’orbita dei B-Movie alla serie A del cinema. Una  medaglia che nessuno potrà mai togliergli.

I FILM

 

SPIDER-MAN (2002)

Il capitolo apripista viene sceneggiato da David Koepp, un nome illustre che aveva già lavorato per nomi illustri: Steven Spielberg, David Fincher, Brian De Palma. La storia si afferra alle origini di Spider-Man: morso da un ragno geneticamente modificato, il giovane Peter Parker acquisisce poteri sorprendenti. Scena cult: il bacio sotto la pioggia tra Spider-Man a testa in giù e Kirsten Dunst.

SPIDER-MAN 2 (2004)

Oscar agli effetti speciali per quello che viene considerato il capitolo più riuscito. Lo script porta la firma di Alvin Sargent, premio Oscar per “Giulia” nel 1978 e per “Gente Comune” nel 1981. Il nemico è il Doctor Octopus, figura paterna e villain dai tentacoli biomeccanici per un film che scava nel significato di eroismo e nella crisi d’identità di Peter Parker incastonato in una New York più cinerea.

SPIDER-MAN 3 (2007)

Ancora Sargent alla sceneggiatura, coadiuvato da Sam e Ivan Raimi. È il capitolo del lato oscuro, di Venom, il simbionte alieno che si assicura il controllo di Spider-Man, che lo trasforma nell’anima e nel costume, proprio mentre Parker aveva trovato l’equilibrio con Mary Jane. Ma all’orizzonte ci sono altri due pericoli: L’Uomo Sabbia, interpretato da Thomas Hayden Church e Harry Osborn (James Franco) che ha ceduto alle sirene del male ed è diventato il nuovo Goblin in cerca di vendetta contro chi ha ucciso suo padre.

 

LA FASE ‘AMAZING’ DI MARC WEBB CON ANDREW GARFIELD

Nel 2012, con il Marvel Cinematic Universe ormai imperversante e il progetto di “Spider-Man 4” firmato Raimi abortito sul nascere, la Sony Columbia affida al regista Marc Webb, cineasta con un solo film all’attivo – la commedia romantica “(500) giorni insieme” –  il concepimento di un reboot, affiancando allo sceneggiatore Alvin Sargent, altri due writers: Steve Kloves, autore della saga di “Harry Potter”, e James Vanderbilt, firmatario del sempre-sia-lodato “Zodiac” di David Fincher, realizzato qualche anno prima.

Un reboot che nasce schiacciato dai progetti smisurati della Marvel (sono più o meno coevi, “Captain America – Il primo vendicatore” e soprattutto “The Avengers”, il primo raduno supereroico da paese dei balocchi). Senza contare, sul versante Warner Bros/DC Comics, la produzione di “Il cavaliere Oscuro – Il ritorno”, che chiudeva la trilogia monstre di Christopher Nolan.

Quasi consapevoli dell’agguerrita concorrenza, gli autori di “The Amazing Spider-Man” e del suo sequel (datato 2014) ricominciano daccapo, con il morso del ragno, l’acquisizione dei superpoteri e naturalmente un nuovo Spidey, selezionando per il ruolo Andrew Garfield, reduce dall’irrinunciabile “The Social Network”. Spunta fuori anche Gwen Stacy, figlia del capo della polizia di New York, e il ruolo viene affidato a Emma Stone, all’epoca impegnata in una relazione proprio con Garfield, pettegolezzo più, pettegolezzo meno. E la prima porzione del reboot di Marc Webb si concentra proprio sul privato dei personaggi, tinteggiando il cinecomic con la vernice da commedia romantica indie, scommettendo su un pubblico di riferimento da teen movie.

Negli Spider Men di Marc Webb, i genitori di Peter Parker, seppur assenti, hanno un peso specifico superiore rispetto alla trilogia di Raimi. Inoltre sulla storia, invero un po’ pasticciata, incombe l’ombra di una cospirazione, mentre la personalità del nostro eroe varia dalla prevedibile goffaggine a una sorta di ‘coolness’ gonfia di ansia irrisolta.

L’intuizione forse più interessante è vedere Peter/Spider-Man combattere a volte senza maschera, stemperando quindi il tormento per lo sdoppiamento della personalità e facendo di conseguenza aderire l’uomo all’eroe e viceversa. Un progetto, quello di Webb e company, più semplificato e consolante, ne sia la riprova anche il sequel che, come da prassi, moltiplica le sequenze spettacolari e i climax emotivi, cucendo e scucendo i fili di storyline e vagheggiati spin off o sequel che non sono mai venuti alla luce finora. Anche perché, a proposito di schiacciamento, tre anni più tardi sarebbe iniziata l’era di Jon Watts e Tom Holland.

I FILM

THE AMAZING SPIDER-MAN (2012)

Nel laboratorio del genetista Curt Connors, il giovane Peter Parker subisce il fatidico morso del ragno e acquista sensi, velocità e forza dell’animale. Proprio Connors, sperimentando su se stesso un siero, si trasforma in Lizard ed è lui il villain da sconfiggere, specie perché ha intenzione di sottoporre alla medesima mutazione tutti i newyorkesi.

THE AMAZING SPIDER-MAN – IL POTERE DI ELECTRO (2014)

Il secondo capitolo invita sul palcoscenico il premio Oscar Jamie Foxx affinché interpreti Electro, pronto a minacciare il mondo e complicare la vita di Spider-Man, impegnato su varie piattaforme: il diploma da conseguire, il futuro al college, i suoi poteri da gestire e il rapporto con Gwen, ostacolato anche dal padre della ragazza. E a New York torna anche il vecchio amico Harry Osborn. Un sacco di materiale aiuterà l’Uomo Ragno a fare luce sul suo passato e sul ruolo ricoperto dalla Oscorp Corporation.

 

L’INTERMEZZO CHE HA STUPITO IL MONDO: SPIDER-MAN: UN NUOVO UNIVERSO

Benvenuti nel Ragnoverso. E benvenuti dentro un capolavoro ispirato, libero, moderno ma rispettoso dello spirito del mito. Nel 2018 esce il primo lungometraggio d’animazione con protagonista l’Uomo Ragno. Un anno più tardi il film si aggiudica l’Oscar, il Bafta e il Golden Globe.

Scritto da Phil Lord e prodotto da Christopher Miller, le menti responsabili di pezzi forti come “The Lego Movie” e “Piovono polpette”, “Spider-Man: Un nuovo universo” attinge ai personaggi dell’Universo Ultimate della Marvel, in primis a Miles Morales, disegnato dalla romana Sara Pichelli (la sua prima apparizione in un albo è del 2011). L’adolescente afroamericano di origini portoricane è uno street artist che vive in una New York in cui ormai Spider-Man è una presenza abituale, leggendario e rispettato paladino della giustizia. Il destino stravolge lo status quo nel momento in cui Miles viene punto da un ragno radioattivo e comincia ad acquisire i soliti poteri, proprio quando Spider-Man soccombe per mano di Kingpin, l’imprenditore creatore di un acceleratore di particelle in grado di spalancare varchi con altre dimensioni. Se ne aprono addirittura 5 dalle quali giungono altrettante versioni di Spider-Man. Quali?

C’è il Peter Parker ormai quarantenne e fuori forma che si industria per fare da mentore a Miles, cioè all’Uomo Ragno prossimo venturo. Poi una versione femminile proveniente da un mondo in cui Gwen Stacy è diventata Spider Woman. Raggiunge New York anche Peter Porker/Spider Ham, personaggio parodistico con un background al contrario: nel suo mondo antropomorfo, Peter Porker era un ragno che dopo il morso di una scienziata si è mutato in un maiale. Chiudono la cinquina Spider-Man Noir e Peni Parker. Il primo proviene dall’immaginario noir degli anni ’30; la seconda, creata sulla falsariga degli anime giapponesi, è una ragazza nippo-americana che pilota un ragno biomeccanico con cui ha un legame telepatico.

Un crossover che si avvale di uno stile grafico che coniuga la bidimensionalità vintage alla puntigliosità 3D della CGI, amalgamando l’estetica delle tavole dei fumetti all’avanguardia dell’animazione. Che ne fanno un prodotto fresco, scaciato e giocoso. Un abbondante frullato di fantasia. Soprattutto, a briglia sciolta, “Un nuovo universo” fugge dalla standardizzazione marveliana e dalla trappola dei reboot/sequel/prequel, presentandosi spavaldamente come progetto mastro, mantenendosi però fedele all’amore carnale per il personaggio di partenza creato da Stan Lee e Steve Ditko negli anni Sessanta. “Spider-Man: Un nuovo universo” non si limita a moltiplicare le alternative dentro la narrazione, ma è esso stesso alternativo: alla produzione attuale dei cinecomics, alternativo all’animazione occidentale in generale, a volte eccessivamente frenata dai vincoli; alternativo alle idee tipizzate e omologate.

 

LA TRILOGIA DI JON WATTS CON TOM HOLLAND

16-23-27. Se siete appassionati di numeri e pensate che triturandoli possa uscire fuori un po’ di senso e di verità, vi diciamo che i tre blockbuster di Jon Watts con Tom Holland nel ruolo di Spidey sono rispettivamente il sedicesimo, il ventitreesimo e il ventisettesimo film del Marvel Cinematic Universe.

Un viaggio sulla montagne russe che non accenna a rallentare, fedele alla linea dell’effetto luna park in cui ogni scena è un rimando, un’espansione dei piani narrativi, e persino le sequenze post-credits grondano hype, inseguono le serie tv sul loro stesso terreno, quello del cliffhanger: lasciare in sospeso la storia per invogliare i fan a fantasticare sul prossimo evento. Con l’acquolina in bocca. La trilogia di Jon Watts nasce, in effetti, un anno prima della realizzazione del film. E nasce da una mossa astuta della Marvel e della Sony: reintrodurre il personaggio di Spider-Man – che si era un po’ sbiadito in questo bailamme di zucchero filato dopo i non memorabili capitoli con Andrew Garfield – all’interno di “Captain America: Civil War” (tredicesimo film della MCU, sempre se vi piacciono i numeri…), quando Spidey fa amicizia con Tony Stark alias Iron Man: questo ultimo diventa uno degli estremi paterni dell’arrampicamuri, saggio mentore per Peter Parker e i suoi supertormenti. L’altro è, sarà, il Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) che nel terzo capitolo vuole aiutare Parker a ripristinare la sua identità segreta, ma il suo incantesimo spalanca le porte del multiverso con la stessa forza di una tromba d’aria, lasciando passare un esercito di supercattivi.

Un anno prima dell’uscita di “Spider-Man: Homecoming” quindi, come ogni multinazionale ferrata nel campo del marketing, la Marvel inventa un divertente cameo e sonda il terreno per capire se Tom Holland possa fare al caso. Per il personaggio femminile si scruta la rampa di lancio dove cammina altera Zendaya, mentre sul versante dei villain le scelte ricadono su Michael Keaton, Avvoltoio del primo capitolo, e Jake Gyllenhaal, Mysterio nel secondo episodio. Nel terzo, come detto, i supernemici abbondano, così come le vecchie conoscenze che resuscitano dall’immaginario.

Ma è tutto oro quel che luccica? Sì. Semplicemente perché è tutto fatto di oro, in un accumulo di sottotesti, piani narrativi, personaggi, lati chiari, lati oscuri e lati chiaroscuri. Abbonda il minutaggio, traboccano i duelli e le scene sfarzose. Sta poi a noi disegnare una mappa, frantumare i numeri, individuare il dramma, asciugarlo, decriptare un ideale e astratto urlo di Munch che giace inguattato nella miriade fiammeggiante di fotogrammi.

A distanza siderale dagli Spider-Men di Raimi, l’autorialità di questo ennesimo reboot iperteso sta nel senso stesso della produzione, dell’idea di fondo. Stupire per normalizzare. Sconfinare per ribadire (e mantenere) una sorta di medietà. Cercando di orientarsi nei meandri di una cartina dove sono scarabocchiati incroci, giunture e intersezioni. Dove niente è sbilenco o veramente imperfetto. E tutto ha un fiocco.

I FILM

SPIDER-MAN: HOMECOMING (2017)

Reduce dall’esperienza con gli Avengers, Spider-Man deve difendere l’umanità dagli artigli dell’Avvoltoio, un ex imprenditore specializzato nella riparazione dei danni causati dai conflitti tra i Supereroi. Un uomo ordinario che si dedica al crimine e grazie alla tecnologia indossa un paio di ali meccaniche.

SPIDER-MAN: FAR FROM HOME (2019)

Successivo agli eventi di “Avengers: Endgame” (ventiduesimo lungometraggio del MCU…), “Far from Home” stacca a Peter Parker – orfano del deceduto Tony Stark e innamorato perso di MJ – un biglietto per l’Europa. A Venezia Parker scopre l’esistenza degli Elementali e incontra Quentin Beck, proveniente da un’altra dimensione che gli chiede di aiutarlo. Inizia un itinerario che porterà l’Uomo Ragno a Praga e a Berlino, prima del ritorno nella Grande Mela, alle prese con le illusioni e i raggiri di Mysterio, il nuovo nemico da sconfiggere. Per gli appassionati di numeri: il film ha incassato oltre un miliardo di dollari.

SPIDER-MAN: NO WAY HOME (2021)

Tutti ormai sanno chi è Peter Parker e tutti ormai sanno chi è Spider-Man. Non resta che rivolgersi al Doctor Strange per riacquisire un po’ di privacy, ma l’incantesimo lanciato da Strange apre un varco nel Multiverso, liberando Goblin, Doctor Octopus, Lizard, Electro e Sandman. Coraggio e dedizione, ma anche fragilità e paura. Con questi ingombri da gestire, e i poteri da ragno da sprigionare, Spidey dovrà affrontare la squadra di nemici e tornare alla normalità. In tutto questo lungo viaggio dal 2002 al 2021, le storie dell’Uomo Ragno rappresentano un conflitto eterno per tornare alla normalità. Il più pirotecnico di tutti, oltre a frantumare casseforti e box office, “Spider-Man: No Way Home” catapulta il personaggio di Doctor Strange nell’iperspazio dei personaggi cult. E nel 2022, puntuale, ecco che arriva “Doctor Strange nel Multiverso della follia”. Ventottesimo film della MCU. Lo trovate su Disney. Chi lo ha diretto? Sam Raimi. Così, tanto per chiudere il cerchio. Per adesso. Ma il luna park non chiude mai.

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