L’OLIMPO DELL’AMORE IDEALE

Il nuovo film di Ferzan Ozpetek parla di un amore interrotto e perfetto, ideale e smaterializzato, di cui parliamo anche insieme a uno psicologo e psicoterapeuta, il dottor Giuseppe Femia, che analizza per noi la storia bella e inverosimile (ma quasi vera) di Enea e Pietro

Dopo la fortunata esperienza della serie tv “Le Fate Ignoranti”, Ferzan Ozpetek torna al cinema, inteso come genere, con un nuovo film da lui scritto e diretto e uscito direttamente su Netflix.
Molto pubblicizzato e altrettanto atteso, “Nuovo Olimpo”, o meglio il giudizio sul film, rimane forse vittima dell’aspettativa troppo alta che l’attesa aveva generato. Già la rivelazione del dato autobiografico della storia, da solo, aveva prodotto quel certo diffuso ‘friccico’ di curiosità che invogliava alla visione, ma, in aggiunta, la trama risulta quanto di più classicamente romantico  si possa immaginare, e chi apprezza Ozpetek sa cosa può fare il regista turco con una buona storia d’amore per le mani: ti strugge l’anima e poi si incarica pure di consolarti.

LA STORIA
La storia è quella di un giovane studente di cinema bisessuale che al Nuovo Olimpo, negli anni ‘70 a Roma luogo di incontri clandestini per omosessuali, conosce un ragazzo alla sua prima esperienza, e se ne innamora perdutamente. I due iniziano una relazione intensissima e travolgente, ma per uno scherzo del caso quasi subito si perdono senza potersi più rintracciare, passando i successivi trent’anni a sognarsi, cercarsi e rimpiangersi. Un amore dunque idealizzato, molto sentito ma non realmente vissuto, fatto più di desiderio e rimpianto che di carne e passione. Nel corso del racconto il film si disunisce, purtroppo, e dalla vivida descrizione della clandestinità coatta degli omosessuali negli anni ’70 e dalla rappresentazione estetizzante ma coinvolgente di un amore che non lascia scampo, il racconto si trascina un po’ stancamente nelle descrizioni di vite diversamente conformiste, ritratto stereotipato di due stereotipi (e gli interpreti non riescono a far volare alto i loro personaggi), il borghese ipocrita e l’artista bello, maledetto e concentrato solo su di sé. Come se, per rappresentare un amore rimasto inespresso, Ozpetek avesse realizzato un film non del tutto risolto, incompleto e non del tutto credibile pur dichiarandosi appassionatamente vero.

TUTTAVIA
La visione del film, però, risulta preziosa per il valore in qualche modo assoluto della storia, che tratteggia meravigliosamente la qualità specifica del desiderio, che non finisce proprio quando non è soddisfatto, come dicono poeti e filosofi da sempre, che si rigenera in eterno proprio perché non è soddisfatto.

Allora decidiamo di non scrivere una vera e propria recensione, ma di approfondire e giudicare il nudo nucleo dell’amore tra Enea e Pietro, il senso assoluto solo di questi due personaggi, e i significati profondi della storia da un punto di vista squisitamente psicologico, con il contributo di uno psicologo e psicoterapeuta appassionato di cinema, il dottor Giuseppe Femia, che di seguito condivide le sue impressioni su “Nuovo Olimpo”.


“Il ritorno di Ferzan Ozpetek, “Nuovo Olimpo”, è un film ‘diesel’, che carbura lentamente ma porta con sé interessanti passeggeri: veicola infatti messaggi che parlano di amore ideale, innamoramento, amore reale, gelosia retroattiva, insoddisfazione, ricerca di emozioni forti, frustrazione, intensità dei legami, complicità. Temi grandi, eterni.
Il regista racconta una sua storia, che normalizza la bisessualità, di amore vissuto solo in parte, che ancora richiede elaborazione, interrotto o per meglio dire bloccato in una fase di desiderio.
Ma soprattutto descrive l’amore che si muove oltre l’identità, che negli anni rimane romantico e idealizzato, ritratto come complicità assoluta che non si consuma nell’ordinario, nella routine, e che al contrario vive soprattutto nella fantasia in cui prolifera come evasione, ossessione, diversivo o rimpianto.
Enea, per esempio, acquista la casa in cui risuona l’incontro amoroso, provando a riempirla di una vita affettiva, ma in cui spesso rimane solo a pensare e ripensare ossessivamente ai suoi ricordi nostalgici, mentre Pietro invece va a cercare Enea presso il ‘loro’ Olimpo, scrive delle lettere e conserva la mappa del loro primo incontro. Qui sembra proprio che la pellicola cerchi di elaborare un vissuto emotivo, un rammarico che ancora scuote: per Enea, regista nella finzione, il primo film  rappresenta un momento catartico e un tentativo di risolvere quell’amore interrotto e sognato che diventa fantasia amorosa e quasi ossessione.

La fantasia amorosa ideale, inevitabilmente, sconfigge la noia, riempie i vuoti, rappresenta un ‘exit’ dalla vita di tutti i giorni, anche se poi riporta malinconia come in un circolo vizioso. I ricordi neutralizzano la tristezza, seppure nostalgici muovono la mente, generano il proibito.
L’amore mai vissuto sembra rappresentare la perfetta storia di amore: il desiderio non realizzato appare come l’amore migliore, lo stato desiderato, quella fantasia consolatoria, come una marmellata di libido, che coccola i due protagonisti per anni e anni e poi, quando si materializza, ecco sfugge e in un attimo sfuma e rimane vaga, con amarezza.
Il film parla del proibito che ci strugge ma ci rende vitali, di quel rimorso di non aver fatto, ma soprattutto della tendenza a divagare con la mente scappando dal momento che scorre, dal “qui e ora”, non riuscendo ad assaporare le cose che si hanno, sciupando l’amore e inseguendo l’innamoramento.

Gli amori impossibili sono dunque davvero i migliori, dato che tendiamo a rappresentarceli come ancore o a intenderli come salvifici?”

La domanda rimane in parte irrisolta, come è inevitabile, ma il dottor Femia prosegue nella sua ‘indagine’ del film:

“L’impressione in generale è quella che la storia rappresenti un rimuginio del regista, che apparentemente cerca la soluzione ad un suo vissuto personale che parla di un segreto, di un rimpianto. La psicologia dei personaggi, in effetti, rimane immatura e ancora irrisolta, e irrisolto il vissuto emotivo, il nodo psicologico nella scrittura, disvelando un nucleo attivo di insofferenza. La pellicola a tratti è involuta, la narrazione non è così sofisticata come richiederebbe il tema, anche se l’impeccabile estetica dello stile riesce alla fine a supplire a questa carenza.
Non è sicuramente un film ‘mindful’, divaga, è tutto orientato a ripercorrere il passato mentre si vive un presente.
I protagonisti raggiungono le loro soddisfazioni personali, si affermano, eppure non godono delle loro condizioni esistenziali, rimuginano e anelano a quell’amore romantico, ripensano costantemente alla perdita di quella storia, dell’illusione di un incontro che il fato ha interrotto e che quindi diventa – nella loro mente – tutto quello che avrebbero di più desiderato nella vita. Due scenari sembrano essere ben rappresentati: uno desiderato, legato alla pienezza dei sentimenti, all’adrenalina dell’incontro, l’altro del timore di aver perso un’occasione di vita, un rapporto che avrebbe determinato un diverso percorso, o una maggiore felicità. Pietro, il medico, prudente, malinconico e romantico, Enea, il regista, impulsivo, determinato, curioso, coraggioso. Due figure complementari che si ritrovano e poi si perdono.

Ozpetek dunque anche in questo film ci parla degli incontri che cambiano il percorso di vita, che in modo saliente segnano il significato di noi stessi, ma soprattutto del valore e del significato che noi attribuiamo a quegli incontri, come se fossero dei sogni che al risveglio cerchiamo di integrare e spiegarci lucidamente. Parla dell’erotismo, del desiderio che diventa innamoramento e immaturo  rimane bloccato. E in questo ricorda “La legge del desiderio”, di Pedro Almodovar, che pare risuonare nella trama del film, come se Ozpetek reclamasse ancora una connessione al regista icona e guida per il mondo gay e per chi anela alla libertà degli affetti.
Guardando “Nuovo Olimpo” sembra che lo spettatore sia esattamente come il protagonista: romantici entrambi, attendono, si trascinano nell’attesa di un lieto fine, che però non arriva, tradendo l’aspettativa ma confermando che l’amore ideale non esiste, o esiste solo, appunto, nella sua dimensione di desiderio e fantasia che rimangono irrealizzati e intangibili, ma che, proprio per questo, sono considerati salvifici.”

Il dottor Femia conclude, coerentemente con il finale sospeso del film, con una domanda, senza una vera risposta possibile:

“Ma quindi è davvero necessario rinunziare all’ideale? Oppure la fantasia ideale, nel tempo, diventa una conserva di desiderio, una sensuale marmellata (icona del piacere che torna nell’immaginario del protagonista) a cui attingere per non soffocare nella noia della routine quotidiana? Il regista non dà una risposta, e forse è giusto così. Perché ognuno dà la sua, di risposta, a seconda dell’intensità dei propri desideri, del segreto delle proprie fantasie e della ricchezza del proprio mondo interiore”

 

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