CINQUE CONSIGLI DI VISIONE E UN DRAPPELLO DI ECCELLENTI ATTORI. TRA IL FEMMINISMO GUERRIERO DI WONDER WOMAN, UN NOIR CHE FARA’ FELICE I COMPLOTTISTI E UN BIOPIC SUL PIU’ INAFFERRABILE DEGLI SCRITTORI, SPUNTANO DUE FILM ITALIANI CHE RACCONTANO LA VITA, L’AMORE E LA MORTE SCAVANDO NELL’ANIMO UMANO CON SENSIBILITA’, DESTREZZA E CALORE.

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LACCI (dal 2 giugno)

La polifonia dell’omonimo romanzo di Domenico Starnone, che ha partecipato alla stesura della sceneggiatura, prende corpo e avvolge personaggi e spettatore nell’adattamento di Daniele Luchetti. Una storia d’amore lunga 40 anni, dagli anni ottanta a oggi, fra Aldo e Vanda. Lui che tradisce e se ne va aprendo una crisi insanabile ma non risolutiva. Un rapporto che si spezza senza dissolversi, tormentato e distruttivo, fatto di ritorni e ripensamenti. E ovviamente di sguardi che giudicano e dove la parola (e il suo contrario: il silenzio) è la bussola per cercare di orientarsi fra le macerie sentimentali. Ci sono Luigi Lo Cascio, Alba Rohrwacher, Silvio Orlando e Laura Morante. C’è tanta, tantissima carne al fuoco in un andirivieni fra passato e presente, ricordi, sentimenti e un repertorio, dedicato all’amore e alle altre umane cose, esplorato fino all’ultimo angolino possibile.

WANDER (dal 5 giugno)

Una trama che assomiglia a tante altre: il solito viaggio ossessivo nel passato e nel sommerso alla ricerca della verità per placare un conto in sospeso. Al centro di tutto un detective che ha perso la figlia e adesso crede di trovare dei punti di contatto fra l’indagine in cui è impegnato e la tragedia che ha segnato la sua vita. Ma “Wander”, oltre all’alchimia fra Aaron Eckhart e Tommy Lee Jones – trova il suo scarto nel fanatismo complottista dell’investigatore, nella sua paranoia cospirazionista. Che va anche di moda, e agli americani, si sa, non sfugge niente. Le coincidenze non esistono, gracchiano i podcast ascoltati a manetta dal detective Arthur Bretnik. Ed è sulla sua psiche paranoica e instabile che si arrampica questo noir polveroso, accomodante al punto giusto, prevedibile quanto basta, avvincente senza ombra di dubbio. Anche se il dubbio è il carburante della macchina narrativa su cui saliamo per addentrarci in un traffico di ipotesi deliranti ma plausibili e di esperimenti top secret, messi in atto da governi burattinai. “Wander” cerca di spremere e filtrare follie e fobie attualissime. Più interessanti le intenzioni che il prodotto finale ma il thriller regge, è ben confezionato, ed è abile nell’agitare gli spettri che si celano,maledetti tentatori, nel nostro castello mentale.

REBEL IN THE RYE (dal 10 giugno)

Il titolo è un gioco di parole con “The Catcher in the Rye”, che è a sua volta il titolo originale de “Il giovane Holden” uno dei romanzi ‘spacca-Novecento’, scritto da Jerome David Salinger e pubblicato nel 1951. Il film ripercorre l’esistenza di uno degli scrittori più misteriosi della letteratura, avendo scelto di rendersi gradualmente introvabile e inafferrabile dagli anni 50 in poi. Il film, debutto alla regia di Danny Strong, finalmente ce ne svela la storia, scegliendo il suo libro più famoso come punto di arrivo e di analisi di un biopic che ne ripercorre l’adolescenza, l’esperienza in guerra con tanto di stress post-traumatico, ci fa fare un giro nell’animo tormentato e anticonvenzionale dal brillante piglio creativo che aveva solo bisogno di essere indirizzato. Il ruolo principale se lo è conquistato Nicholas Hoult mentre Kevin Spacey interpreta il mentore Whit Burnett. E’ anche un’occasione, quindi, per rivedere al lavoro Spacey in una delle sue ultime apparizioni prima dell’oblio in cui è sprofondato in seguito alle note accuse di molestie sessuali.

LE SORELLE MACALUSO (dal 13 giugno)

Cinque sorelle – Maria, Katia, Pinuccia, Pia e Antonella – per un affresco al femminile ambientato alla periferia di Palermo. Dopo “Via Castellana Bandiera” del 2013, Emma Dante si ispira alla sua omonima pièce teatrale (che potete vedere su Raiplay) per il suo secondo lungometraggio e sceglie un pertugio in cui infilare lo sguardo e raccontare l’irriducibile infittirsi della vita fra i corpi, la mente e il cuore di un gruppo di donne narrate in tre differenti capitoli, ognuno dedicato a un’età della vita: l’infanzia, l’età adulta, la vecchiaia. Una vita che volge in tragedia, che consuma e arrugginisce i volti delle sorelle Macaluso, tanto quanto il sole prepotente della Sicilia. E dove sono gli oggetti della casa, immortali e scrutati dalla cinepresa in maniera ossessiva, a scandire l’incedere del tempo con la loro usura.

WONDER WOMAN 1984 (dal 14 giugno)

Se c’è un aspetto da sottolineare nell’universo cinematografico della DC Comics è la sensazione che non ne sia stato ancora impostato il tono definitivo, non ne è stato ancora messo a fuoco l’obiettivo. Il Marvel Universe sembra più solido, collaudato, e con un pilota automatico impiantato nella testa dei creatori. La Dc Comics vacilla invece, ma con fierezza, alla ricerca di una linea editoriale. La sensazione è che non si voglia svincolare dal gusto “camp’, che gli autori amino sollazzarsi nel vintage e in questo fertile cantiere sempre aperto. Ne sia un esempio anche questo Wonder Woman 1984, scombinato, incontrollabile, naif. Un film-fumetto-giocattolo da vedere con sguardo adulto, pedinando una donna guerriera emancipata e sensuale così modella e moderna, consapevole di sé e disinteressata al riconoscimento sessuale degli uomini, nel bel mezzo dell’America edonista reaganiana in cui il cuore pulsante è il desiderio di possesso. Dei beni materiali e dell’avvenenza. 150 minuti di azione ma anche di tentativi di riflessione, con un piede nell’entertainment e l’altro a saggiare un terreno più serioso, un dibattito più impegnativo.  La potenza di fuoco ultratecnologica che non vuole rinunciare alla nostalgia del passato, quando gli effetti speciali non permettevano di eseguire proprio tutto. E con questa patina di eterno prototipo che ricopre i prodotti Dc Comics rendendoli intriganti.

 

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