SU NETFLIX LA QUARTA ATTESA STAGIONE DELLA SERIE HORROR PIU’ POP DEL DECENNIO: NONOSTANTE UN PO’ DI DELUSIONE E QUALCHE CRITICA, L’ALGORITMO UMANO CONSIGLIA DI GUARDARLA (ALMENO A QUALCUNO)

Chi ama il fantasy, le storie inverosimili, i mondi al di là del mondo. Chi per intrattenimento intende ‘fatemi saltare dalla sedia’ o ‘trasportatemi verso l’infinito e oltre’. Chi ha tendenza verso le dipendenze e trova confortevole e vuole riproposto continuamente quello che conosce, anche se è un mondo sottosopra o un universo parallelo. Chi si vuole infilare negli incubi più sanguinari e nei voli meno verosimili, mentre magari nella vita non ha mai preso nemmeno una pillola a stomaco vuoto.
Ecco: questi sono gli spettatori ideali di questa serie, arrivata alla quarta stagione dopo qualche traversia. Stranger Things 4 ripropone la fantasia al potere, ferocemente difesa nella sua missione di puro intrattenimento, e si attesta in una tenace autoreferenzialità, con la testimonianza costante del suo essere parte di un universo riconoscibile, amato e ormai noto a tutti quelli che si sono messi, trepidanti e speranzosi, davanti allo schermo per questo nuovo capitolo.

UN CULT

Un cult. Stranger Things è una serie cult. Un horror ambientato negli anni ’80 che deve tantissimo a Stephen King, adorato da quelli che sono giovani oggi, ma anche da quelli che lo erano negli Ottanta dello scorso secolo, e che si riconoscono nell’estetica del telefilm come in uno specchio.
E’ la storia di un gruppo di preadolescenti nerd che più nerd non si può, che si trovano ad affrontare delle entità potentissime e maligne che minacciano la loro cittadina, dove si sono installati vivendo nel sottosopra, una dimensione irreale ma dalla quale succedono cose terribilmente reali, spesso orrendi omicidi. Nella missione i ragazzi sono aiutati dalla madre di uno di loro (Wynona Ryder, che segna il suo ritorno sullo schermo e un rigurgito di notorietà ultra-generazionale), da uno sceriffo un po’ tardo ma coraggiosissimo, e soprattutto da una bambina scappata da una misteriosa organizzazione governativa che ne ha potenziato gli straordinari poteri telecinetici e di combattimento. Nel 2019 è finita la terza stagione, con la sconfitta solo apparente dei mostri del sottosopra, la morte solo apparente dell’amato sceriffo Hopper e la perdita dei poteri da parte di Undici (Eleven).  Così i tanti fan della serie aspettavano con trepidazione il proseguire dei combattimenti tra i buoni giovani e carini e le mostruosità gocciolanti costituite dalle paure peggiori della gente, pezzi di cadaveri e centinaia di topi brulicanti (scusate, ma non sono io l’appassionata di horror…). La piaga vera che si è abbattuta sul mondo reale, la pandemia, ha invece rallentato severamente l’uscita della quarta stagione, che arriva quindi solo dopo quasi tre anni, e forse fuori tempo massimo.

TRE PERCHE’ NO

TROPPA ATTESA GUASTA LA RESA

Prima di tutto, si sa, troppa attesa amplifica le aspettative, e questo è sempre un rischio, nella vita, in amore, nella serialità. Dopo tanto tempo, tra l’altro, è difficile anche ricordare tutto quello che è già successo, i personaggi e gli snodi della trama. La soluzione sarebbe riguardarsi le tre stagioni precedenti, ma l’effetto sovraccarico, con un’ambientazione così da luna park, è dietro l’angolo. Inoltre tre anni sono veramente tanti, tenendo conto che i protagonisti sono dei ragazzini. I quali, mentre nella storia passano dalla terza media al liceo, nella realtà sono passati dall’essere gracili esserini che suscitavano tanta tenerezza a bislunghe creature con nasi enormi e voci cavernose, come è giusto che sia nell’età della piena adolescenza. Per dirla senza tanti giri di parole: non sono più credibili nei loro panni. A questo va aggiunto che la protagonista, Millie Bobby Brown, ha sperperato l’effetto ‘miglior esordiente’ che l’aveva gratificata nelle prime stagioni con una sovraesposizione mediatica che la sua personalità ancora acerba non ha saputo gestire, col risultato di rendere la sua Undici antipatica ai limiti dell’insopportabile.

EFFETTO TUNNEL DEGLI ORRORI

La parte horror e splatter degli episodi, oltre a essere esageratamente sconnessa dal resto della trama per così dire ‘avventurosa’, ha anche un tono ripetitivo che certo non giova all’effetto ‘salto sul divano’. Il mostro è sempre schifoso e verminoso, gocciola robaccia da tutte le parti e si nutre dei sensi di colpa delle sue vittime per ucciderle vomitevolmente, ma in più in questa stagione parla. Questa personalizzazione del male non aggiunge niente, anzi denuncia una scarsa incisività del ‘personaggio’ come fonte di spavento. I viaggi nel sottosopra, che nelle altre stagioni erano distillato di delirio e paura, diventano ora un giretto nel tunnel degli orrori delle giostre di paese, che mentre lo fai ogni tanto guardi pure l’ora per capire quando finisce.

NESSUNO NOMINI STEPHEN KING

Il debito di Stranger Things con il re del brivido è innegabile, addirittura sbandierato. I ragazzi che salvano il mondo mentre se la vedono con i giganteschi minimi problemi della loro età sono un topos della narrativa kinghiana, fondamento dei capolavori It e Stand By Me (Il corpo), in cui l’innocenza non ancora perduta dei dodicenni è l’unica vera arma contro il male che tende sempre a voler dominare il mondo partendo dal Maine. Nel gruppetto di Hawkins, nelle prime stagioni di Stranger Things, le dinamiche ‘alla King’ funzionavano a meraviglia, e il bilanciamento tra storie personali e trama horror/salviamo il Pianeta era perfetto. Ora invece separata la banda, con Undi e Will fuggiti in un’altra città, Mike in visita e Dustin e gli altri a vedersela a casa col mostro di ritorno, qualcosa nel meccanismo si è rotto.
Proprio il nucleo della costruzione dei personaggi non funziona più: le vite private dei ragazzi, i loro rapporti, le passioni acerbe, le buffe interazioni tra nerd e bulli che si scambiano di ruolo, non sono più credibili. Sono noiose, fuori fuoco, inverosimili: quando Undici si lamenta con Mike perché lui non riesce a dirle ti amo, sembra di essere piombati in una puntata di Beautiful, e l’essere trascinati un’inquadratura dopo nel mondo del sottosopra più che i brividi fa venire il singhiozzo.

UN MA TUTTO SOMMATO

Quello che salva questa quarta stagione, e che nonostante la delusione spinge comunque a seguirla, è l’ampliarsi delle trame. Si aprono così tanti corridoi narrativi, dei quali si vuole scoprire l’esito, che mollare la storia è difficile: e Stranger Things si prende la rivincita sulle critiche agganciando comunque lo spettatore, come ha sempre fatto.
Undici viene vessata a scuola, delusa da Mike e tormentata dalle visioni del suo passato, e poi viene riportata nella sede dell’organizzazione governativa che l’aveva allevata, ricongiungendosi col suo finto ‘papà’ (Matthew Modine, uno dei motivi per cui vale la pena per un adulto di guardare la serie): riusciranno a ridarle i suoi poteri? Mike, Will e Johnatan saranno in grado di avvicinarsi a lei senza uccidere nessun (altro) innocente? Hopper, vivo ma torturato in un carcere sovietico (con dovizia di schizzi di sangue ad ogni inquadratura) sarà raggiunto da Joyce e l’amico/paranoico Murray? Dustin, Lucas, Max, Robin, Steve, Nancy (sono troppi, troppi!) sapranno capire cosa può fermare il mostro di Hawkins, che è tornato per uccidere con un alto incremento percentuale dell’orribilità visiva? Come può aiutarli il vecchio Victor (Robert Englund, citazione vivente dell’horror degli horror, la saga di Nightmare, e emblema da incubo di una carriera che sembra basata sull’eterno ritorno…), in prigione per aver massacrato decenni prima la sua intera famiglia?
Il mistero. La suspense. L’attesa della scoperta. Il lento rilascio di indizi che ti portano a capire cosa sta succedendo un attimo prima che succeda, anticipando il grido di sorpresa e facendoti sentire intelligente. La meraviglia. La paura.
Insomma, quella stessa roba che fece gridare quelli che guardarono per la prima volta uno schermo, mentre un treno che arrivava in stazione sembrava piombare direttamente su di loro. Di questo stiamo parlando, e di questo è fatta Stranger Things: non sarà pietra miliare nella storia del cinema o della tv, ma se qualcosa è capace di suscitare queste emozioni in chi guarda, la critica può anche essere feroce, ma non sarà mai un deterrente che impedisce di godersi lo spettacolo.

 

 

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