MENTRE E’ ANCORA ‘CALDO’ IL SUCCESSO DI “DAHMER – MOSTRO. LA VERA STORIA DI JEFFREY DAHMER”, LA SERIE PIU’ VISTA DI SEMPRE SU NETFLIX, SULLA PIATTAFORMA APPRODA UN NUOVO TITOLO FIRMATO DAL DUO RYAN MURPHY – IAN BRENNAN, “THE WATCHER”: ECCO LA NOSTRA RECENSIONE, VOTO 7+

MURPHY SUPERA MURPHY

Su Netflix fino a qualche giorno fa la serie più vista era la bellissima e inquietante “Dahmer” (Qui la nostra recensione), ora è “The Watcher”, scritta e ideata dallo stesso geniale duo Murphy-Brennan. Questo è quel che si dice una notizia, ma il generale concetto di ‘Ryan Murphy si è superato’ su cui si appiattiscono molti critici del settore non è corretto. Dire che una serie è più vista di un’altra non significa automaticamente affermare che sia migliore. E in questo caso, secondo noi non lo è.

“The Watcher” è un’eccellente serie thriller/horror falsamente true crime (proprio come “Dhamer”), è molto Murphy style, ti inchioda al divano e a un ansiogeno binge watching, ma non è la miglior serie del momento, né la migliore di Murphy. Ciò anticipato, l’algoritmo consiglia spassionatamente di vederla, per i motivi che seguono:

I MOTIVI CHE SEGUONO

Carissimo nuovo vicino del 657 Boulevard, permettimi di darti il benvenuto nel quartiere”: queste sono le parole realmente scritte su una lettera realmente ricevuta dal nuovo proprietario dell’antica (per gli USA, si intende) dimora che si trova realmente al 657  Boulevard di Westfield, nel New Jersey. Quella lettera continuava con minacce e per niente velate e inviti ad andarsene alla famiglia che aveva acquistato la proprietà, i Broaaddus, che dopo quella lettera ne ricevette molte altre, sempre minatorie e soprattutto inquietanti, che dimostravano chiaramente che qualcuno stava osservando la casa e chi si accingeva ad abitarla: i Broaddus non ebbero mai coraggio di trasferirsi al 657 Boulevard, e anni dopo vendettero l’immobile con grave perdita economica. E questo è il nucleo di verità su cui quel geniaccio dall’anima nera di Ryan Murphy ha costruito un nuovo piccolo gioiello di inquietudine televisiva seriale. Prima di questo “The Watcher” e di “Dhamer” Murphy ha firmato infatti la serie horror-horror “American Horror Story” e quella true crime “American Crime Story”. Fissato con il crimine che sfocia nell’orrore, evidentemente, e con la realtà che supera a destra il grottesco e lo spaventoso della fantasia, Murphy parte da un assunto in apparenza semplice: l’orrido si nasconde ovunque, di preferenza sotto l’apparente normalità della borghesia americana.
Mostra il mostro, Ryan Murphy, quello che in fondo tutti sappiamo che sta sotto il letto pronto a uscire non appena ci addormentiamo.
E così prende una storia già assurda e la colora di grottesco, per un risultato oggettivamente da far rizzare i capelli. La famiglia Broaddus diventano i Brannock, padre madre e due figli adolescenti, e la follia spicca il volo. Qualcuno non vuole che Dean e Nora Brannock vivano in quell’antica bellissima dimora, notifica loro di star osservando ciò che accade e che in quel luogo qualcosa di terribile è successo: ma cosa? Dean (un eccezionalmente incasinato Bobbi Cannavale, camaleontico come sempre a parte il marchio di fabbrica del suo essere italoamericano) e Nora (Naomi Watts perfettamente a suo agio nei panni di un’algida artista newyorkese radical chic) si rivolgono immediatamente alla Polizia, ma il detective assegnato al loro caso sembra stare dalla parte dell’Osservatore più che dei poveri osservati. Che provano quindi a capire da soli chi stia cercando di intimorirli. I vicini di casa sono uno peggio dell’altro e tutti credibili come svitati pronti a difendere il loro territorio: una coppia disagiata di fratello e sorella la cui immagine rimanda a quella iconica del ritratto American Gothic di Grand Wood (la sorella è una Mia Farrow che non vorresti mai e poi mai incontrare di sera per strada) reclamano platealmente dei diritti sul parco della casa, un marito e una moglie sboccati e guardoni si piazzano nella proprietà dei Brannock sputando fiele e rendendosi odiosi sin dal primo momento. Poi c’è il ragazzo che installa il sistema di sicurezza, che avrebbe interesse a far sentire insicure le persone che arrivano nel quartiere. E poi, soprattutto, c’è l’agente immobiliare (Jennifer Coolidge, vista recentemente in “The White Lotus”, soavemente sgradevole nella sua maturità bamboleggiante) che forse è amica di Nora ma tutto sommato troppo insistente nel consigliarle di vendere una casa appena acquistata. Il crescendo di sospetti incasina le vite dei proprietari del 657 Boulevard, ma la soluzione trovata da Dean per capirci qualcosa finisce per complicare tutto: la detective privata Teodora Birch, assunta per supplire alle carenze dell’ispettore menefreghista della Polizia locale, scopre che anche i precedenti proprietari della casa erano stati vittime di minacce, e che in ogni occasione terribili disgrazie erano arrivate a porre fine alle esperienze degli abitanti del 657.
Ma Teodora stessa è degna di fiducia?

Basta: sono solo sette puntate ma ogni sequenza, ogni dialogo surreale, ogni sussurro nella notte, ogni corridoio segreto scoperto nel seminterrato genera supefetazioni di sgomento. E paura.
Il thriller procede spedito ma la trama si attorciglia su sé stessa, smentendo lo spettatore ad ogni intuizione che pensa di aver avuto. Murphy eccelle in questo: ti porta per mano fino sul ciglio del davanzale e poi fa finta di spingerti giù, spaventandoti a morte e frustrandoti all’eccesso. E nel contempo svela il marcio che c’è dentro ognuno di noi, non solo i freak che popolano i quartieri dei ricchi, ma i ricchi stessi, e quelli come i Brannock che, a causa della loro avidità e della presunzione di voler essere più di quello che sono, hanno fatto un passo troppo lungo per le loro gambe di alto borghesi. La critica alla società americana è ferocissima ma non si sofferma: si corre verso la risoluzione della storia, verso la comprensione dell’enigma, verso lo svelamento dell’inganno. Che, lo spoiler è d’obbligo quindi se non volete sapere smettete ora di leggere, non ci sarà.

La vera storia del 657 Boulevard non è mai stata risolta, e quella della famiglia Brannock partorita da Ryan Murphy lascia aperte talmente tante strade che è come se non ne indicasse nemmeno una. Un thriller interruptus, si direbbe, che lascia non tanto la curiosità, ma quello che è il fine ultimo e supremo che si prefigge l’autore: lo sgomento di capire che a questo mondo tutto il peggio che puoi immaginarti è davvero possibile.

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